La storia
Il caso di Francesco Addeo, arrestato e processato per errore assolto dopo 20 anni

La ministra della Giustizia Marta Cartabia ha detto che «sta diventando quasi un luogo comune». Parlava del problema della «lentezza e farraginosità dei processi». «Un problema risalente nel tempo e stratificato». Su quest’ultima definizione non si può che concordare, sulla prima, quella del luogo comune, ci sono delle riserve. Perché la realtà è sotto gli occhi di tutti.
«Stiamo gettando le basi perché un’inversione di rotta possa avvenire presto – ha aggiunto la ministra -. Passi importanti sono stati compiuti e sono le fondamenta di un edificio che è tutto da costruire». La speranza, si sa, è l’ultima a morire. Intanto nelle aule di giustizia continuano a trascinarsi processi che durano anni e fuori da quelle aule continuano a esserci vite costrette a rimettere insieme alla buona i cocci di inchieste nate da errori o sviste dei magistrati. E la ministra Cartabia, nel discorso ai dipendenti del ministero della Giustizia che ha voluto incontrare per portare i suoi auguri di buon Natale, ha citato anche la storia di un professore di Napoli che chiedeva di tornare a vedere i suoi alunni dopo un processo durato 20 anni e terminato con una sentenza di assoluzione. «Dietro ogni lettera che arriva al ministero ci sono sempre singole persone, vite in carne e ossa, persone che ci affidano le loro storie e difficoltà» ha sottolineato la ministra parlando raccontando di essere stata «enormemente colpita» da alcuni incontri. Tra questi, quello con il professore napoletano sotto processo per vent’anni prima dell’assoluzione.
Quell’uomo si chiama Francesco Addeo. Oggi ha ottant’anni, e dopo aver combattuto a lungo con una cattiva giustizia adesso combatte con i problemi di salute, ha subìto un trapianto di fegato e forse dovrà fare un altro intervento. Per superare il trauma della gogna mediatica e giudiziaria scrive le sue memorie e coltiva nel cuore il sogno di rincontrare i suoi studenti, quelli che il 23 marzo 2001 fu costretto ad abbandonare perché i magistrati, credendo alle dichiarazioni di due imprenditori detenuti da tempo e che a seguito delle loro dichiarazioni sul docente ottennero gli arresti domiciliari, lo fecero arrestare. Addeo era allora capo del Cnr di Avellino, ordinario alla facoltà di Agraria della Federico II, direttore di centri di ricerca a Lodi e In Corsica, considerato non solo in Italia uno dei maggiori esperti nelle produzioni lattiero casearie.
Lo accusavano di essersi prestato a certificare la bontà di un burro non genuino da vendere sul mercato francese. Un’accusa che lo costrinse a vivere da recluso in una cella per quattro mesi, ai domiciliari per altri due e poi attendere anni il processo. In primo grado fu assolto da tutti i reati fine e condannato per il solo concorso in associazione semplice. Una sentenza che in Appello lasciò i giudici «sconcertati»: «Il Tribunale si lascia trascinare da considerazioni e descrizioni non di fatti concreti ma di contorni, immagini, impostazioni di rapporti e così via». Di qui l’assoluzione, che ha riportato giustizia ma non ha cancellato il dolore.
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