Le Procure della Repubblica sono sempre più simili alle caserme: uno, il procuratore, comanda, e gli altri, i sostituti, obbediscono in silenzio. Nonostante la Costituzione preveda che i magistrati si dividano fra loro soltanto per funzioni, da un lato i giudici e dall’altro i pm, la realtà offerta dagli uffici giudiziari italiani è quella di una gerarchizzazione sempre più spinta. Un caso alquanto ‘originale’ è quello della Procura di Catania, retta da Carmelo Zuccaro, diventato famoso negli anni scorsi per aver chiesto l’archiviazione dell’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini dall’accusa di sequestro di persona per la vicenda della nave Gregoretti.

Zuccaro, magistrato molto stimato dall’ex pg della Cassazione Giovanni Salvi, all’inizio del mese ha diramato un interpello per l’incarico di vicario, “il collaboratore più diretto del procuratore nella gestione dell’apparato organizzativo della Procura e di sostituzione dello stesso nei casi di assenza o impedimento”. Sulla carta, salvo che il diretto interessato avesse rifiutato, la scelta sarebbe dovuta cadere obbligatoriamente sul pm più anziano.

Dopo aver esaminato le varie candidature che “annoverano esperienze professionali di elevato spessore e contrassegnati da risultati eccellenti sia nel campo dei reati di competenza distrettuale che in quello dei reati della Procura ordinaria”, Zuccaro è giunto alla conclusione che questo profilo non però è “dirimente per la designazione del vicario”. Ciò che va considerato, invece, è il contributo che “i candidati hanno offerto sinora per la predisposizione del progetto organizzativo e soprattutto per la sua concreta attuazione e la gestione della complessa macchina organizzativa dell’Ufficio”.

Sotto questo profilo, è stata la conclusione di Zuccaro, è “opportuno evidenziare che rispetto agli altri candidati le indicazioni fornite dalla dottoressa Agata Santonocito non solo sono state più frequenti e costanti, oltre che spontaneamente offerte, ma sono state anche improntate ad una più sentita condivisione delle strategie di fondo perseguite nelle scelte organizzative adottate dallo scrivente”. In pratica, “anche quando tali interventi erano intesi ad apportare delle modifiche alle soluzioni da me progettate (suggerimenti che non ho mai mancato di apprezzare e di prendere in considerazione) essi non si ponevano in contrasto con le finalità perseguite, mentre nel caso degli altri candidati che da maggior tempo rispetto alla dottoressa Santonocito hanno assunto le funzioni semidirettive presso questa Procura le soluzioni proposte si muovevano frequentemente in una direzione divergente rispetto a tali finalità”. Tradotto in altri termini, il dissenso del capo non è contemplato a Catania.

Il provvedimento di Zuccaro, in vigore da questa settimana, non può non far riflettere. In caso di contrasto sull’esercizio dell’azione penale, ad esempio, cosa succede a Catania? Il procuratore toglie l’indagine al pm e lo mette a fare le fotocopie? Zuccaro, ovviamente, questo non lo scrive, limitandosi a ribadire che “tali circostanze appaiono determinanti per la scelta del Vicario, il cui ruolo è quello di aiutare più da vicino il procuratore nella gestione organizzativa dell’Ufficio e, quando necessario, di sostituirlo e non quello di modificare nella sostanza le scelte adottate, essendo questa responsabilità demandata a chi viene incaricato dall’Organo istituzionalmente competente della titolarità dell’Ufficio”.

Lasciando per un momento la ‘procura-caserma’ di Catania, è di ieri la richiesta di patteggiamento a quattro mesi di prigione da parte dell’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati Luca Palamara, nell’ambito del procedimento di Perugia che lo vede accusato per avere messo a disposizione di due imprenditori “le sue funzioni e i suoi poteri” in cambio di alcune utilità, come soggiorni a Capri e a Roma. La richiesta di patteggiamento, formalizzata da parte degli avvocati Benedetto Buratti e Roberto Rampioni, è arrivata dopo la riqualificazione dell’accusa da corruzione a traffico di influenze illecite.

Una decisione che va in continuazione con quella che, il 30 maggio scorso, ha portato Palamara a patteggiare una condanna a un anno, pena sospesa, nel filone principale dell’inchiesta. Ha scelto di procedere con il rito ordinario, invece, la difesa dell’imprenditore Federico Aureli, che avrebbe dato a Palamara le utilità e per il quale la Procura guidata da Raffaele Cantone ha chiesto il rinvio a giudizio. La decisione del gup dovrebbe arrivare il 19 settembre prossimo. “Pur non riconoscendo nessuna responsabilità abbiamo deciso di chiudere anche questa parte di processi in coerenza con la conclusione definitiva di tutta la vicenda processuale“ hanno dichiarato i difensori di Palamara. “Abbiamo sempre sostenuto che il comportamento di Federico Aureli è stato improntato sulla correttezza e il rispetto della legge” hanno spiegato invece gli avvocati Romolo Reboa e Roberta Verginelli.