Commercio internazionale
Il ciclone Di Maio travolge industrie, trasloco competenze paralizza due ministeri
L’industria italiana è nuda, vulnerabile, spogliata dalle dovute difese commerciali. È utile ricordare come lo scorso settembre Luigi Di Maio, fresco di nomina a ministro degli Esteri, ha chiesto e ottenuto il trasferimento dal ministero dello Sviluppo alla Farnesina delle competenze riguardanti il commercio internazionale e la neonata Direzione generale per la politica commerciale internazionale. Congiuntamente ha chiesto e ottenuto in dotazione 250 milioni di euro di risorse finanziarie. Un obbligato trasloco da un ministero all’altro di uomini, competenze e relative dotazioni economiche. Di fatto, trascinandosi brandelli di ministero da una parte all’altra di Roma, Di Maio si è in questo modo assicurato sotto la sua apicale direzione il controllo del commercio estero. Contestualmente allo sgombero ha richiamato da Pechino l’ambasciatore Ettore Francesco Sequi nominandolo capo di Gabinetto.
Il trasferimento sembra non sia indolore e lentezze burocratiche potrebbero mettere a repentaglio le attività di difesa a livello internazionale delle nostre imprese, azioni legittime e necessarie di appoggio e sostegno. Il passaggio delle competenze della “Direzione generale per la politica commerciale internazionale” e della “Direzione generale per l’internazionalizzazione delle imprese e la promozione degli scambi” ha come obiettivo di fare confluire sotto un unico tetto l’insieme delle attività collegate al commercio estero. Per conferire unitarietà e forza all’azione italiana di difesa dell’industria italiana dal primo gennaio la Farnesina è divenuta titolare di dette competenze. Dal mese di settembre dello scorso anno, vale a dire dopo la decisione del trasferimento di competenze, fervono i preparativi affinché i diplomatici incaricati siano pienamente operativi e preparati ad affrontare nuove materie.
A dicembre sette dirigenti del ministero dello Sviluppo economico sono transitati per graduatoria e hanno firmato il contratto d’immissione nel ruolo di dirigenti amministrativi del ministero degli Affari esteri. Però, sembra proprio, che, a oggi, quest’ultimi siano privi di incarico: il rischio è la paralisi dell’attività. A ciò si deve aggiungere che lo stipendio dei dirigenti si compone di una parte tabellare, conferita dall’immissione nel ruolo e da una parte legata al conferimento di incarico: queste figure guida vengono retribuite con metà dello stipendio cui hanno diritto. Pagati di fatto per non svolgere alcun tipo di attività a causa dei ritardi dell’amministrazione di destinazione, con il rischio di creare un danno erariale in quanto comunque una parte dello stipendio viene loro corrisposto senza che possano mettere a frutto la propria professionalità.
Alla stessa maniera un centinaio di dipendenti del ministero dello Sviluppo, anch’essi traslocati dallo stesso ministero per graduatoria, sono in buona parte dislocati senza assegnazione alle divisioni “specchio” presso il ministero degli Affari Esteri e privi di ordine di servizio. Alcune linee di attività potrebbero essere prive di un congruo numero di funzionari addetti alle stesse. Pensiamo alla difesa commerciale. Non sono per competenza transitati al Ministero degli Affari Esteri gli storici tecnici che per anni hanno lavorato al fianco dell’industria per difenderla dai comportamenti sleali delle imprese estere collaborando con le istituzioni di Bruxelles per l’imposizione dei dazi anti dumping e anti sussidio. Cosicché la Farnesina tra pochi giorni quando dovrà votare le prime misure al relativo comitato, rischia di non avere professionalità adeguate per la valutazione dell’impatto delle stessa sull’economia nazionale.
Di fatto le struttura dell’originaria direzione del ministero dello Sviluppo è stata smembrata con il trasloco al Ministero degli Esteri e le linee di attività spezzettate tra vari uffici, alcuni dei quali non ancora assegnati. Eppure il mese di gennaio è il mese cruciale per l’avvio della progettazione annuale, che soffrirà di questa assoluta mancanza di organizzazione. È forse azzardato scrivere che a causa del forzato trasferimento oggi l’industria italiana è nuda, vulnerabile e spogliata dalle dovute difese commerciali?
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