Il discorso del Pontefice contro il profitto
Il comunismo ultima eresia cristiana? Forse no ma lottiamo insieme
La parola di Papa Francesco, che viene da Assisi, è ancora una volta rivolta all’umanità tutta e investe di una missione irrifiutabile tutti gli uomini di buona volontà. Essa promuove la speranza e chiama all’impegno. La tribuna non poteva essere più adeguata, il Papa prendeva la parola al Forum di Assisi, concludendo i lavori del convegno internazionale The economy of Francesco. Lo ha fatto in un videomessaggio, nel quale ha detto semplicemente una cosa enorme: «Non siamo condannati a un’economia che sia solo profitto».
Ha detto una verità che risuona come rivoluzionaria perché essa è nascosta, occultata, negata dalla cultura dominante e dal sistema, ma è rivoluzionaria anche perché quel «non essere condannati» è solo la premessa di un discorso che si sviluppa fino a indicare il cammino per sottrarre tutta l’umanità a quella che altrimenti potrebbe diventare una condanna storica, quella che un altro grande pontefice, Giovanni XXIII, definì «il più grande peccato dell’umanità», ovvero lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. «Non siamo condannati – ha detto Francesco – a modelli economici che concentrino i loro interessi immediati sui profitti come unità di misura e sulla ricerca di politiche pubbliche simili che ignorano il proprio costo umano, sociale e ambientale». Se pensiamo che, proprio e in primo luogo, sulla presunta inesistenza di alternative all’attuale sistema economico si fonda l’egemonia del sistema stesso, si ha la portata sconvolgente del messaggio pontificio.
Il punto di partenza da cui esso muove è tanto radicale quanto fondato sulle più significative acquisizioni scientifiche, come su una percezione che, dalle avanguardie, sta diventando fenomeno di massa, moto di popolo. Basti pensare, sul rapporto tra questo tipo di sviluppo e la natura, alla contestazione di un movimento mondiale, quale quello personificato da Greta; basti pensare, su un altro versante, al drammatico rapporto tra questo assetto economico e lo scarto, la povertà, l’esplosione delle diseguaglianze; basti pensare con loro alle cento, mille rivolte che investono i paesi del Sud del mondo.
Per non parlare della terza guerra mondiale a pezzi… «L’attuale sistema mondiale è insostenibile», ha detto il Papa. Nel discorso di Assisi, come aveva già avuto occasione di dire a un’assemblea mondiale dei movimenti sociali, vengono alla luce le istanze della partecipazione e dell’impegno diretto, le istanze della lotta. È un appassionato e preveggente appello, quello che il pontefice mette di fronte a tutti: «O siete coinvolti o la Storia vi passerà sopra».
L’appello del Papa sembra guardare a una riapertura della storia, del resto, la via l’aveva già indicata nell’enciclica Fratelli tutti, affidando alla solidarietà un compito storico, quello di lottare contro «le cause strutturali delle povertà: la diseguaglianza, la mancanza di lavoro, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi». E ancora, aveva scritto: «La solidarietà è far fronte agli effetti distruttori dell’impero del denaro. La solidarietà è un modo di fare la Storia ed è questo che fanno i movimenti popolari».
Nel discorso di Assisi si fa chiaro che non servono i raddoppi al sistema e neppure – sono le parole del pontefice – «basta puntare sulla ricerca di palliativi nel terzo settore o in modelli filantropici». La necessità storica che viene proposta da una così autorevole tribuna è quella del cambiamento del modello economico, sociale, ambientale. Il tema che così prende vita è proprio quello della trasformazione. Per questo abbiamo parlato della riapertura della storia, che così viene proposta, ma per poterla agire, debbono cambiare anche i comportamenti di chi si vuole porre questo compito. Fare della partecipazione popolare la leva del grande cambio, questo è il compito. I poveri non possono essere soltanto i destinatari dell’impegno, debbono essi stessi poterne diventare i protagonisti. «I poveri hanno la dignità di sedersi ai nostri incontri», ha detto il Papa ad Assisi. È il nuovo inizio.
In questi giorni esce in libreria Il cielo sulla terra, una raccolta di interviste di Papa Francesco. Una di queste si intitola “Trasformare il mondo”; in essa si evince il fondamento religioso, di fede, dell’impegno del Papa nel mondo contro le sue ingiustizie che «gridano vendetta al cospetto di Dio». Coloro che contestano Francesco, perché si occuperebbe troppo degli uomini e troppo poco di Dio, se in buona fede, dovrebbero potersi ricredere. Nel messaggio del Papa c’è un’unità della fede che erompe anche innanzi al non credente. Essa muove dalla «forza trasformante del Cristianesimo nel divenire della Storia»; parte dalle novità germinate sulla sua idea di persona fino al contributo al superamento della schiavitù, al portato di civiltà del monachesimo benedettino, alla bellezza delle sue chiese e delle sue cattedrali, sino al rifiuto dell’usura e alla «giusta mercede per l’operaio».
Non sfugge al pontefice il corrompimento che il Cristianesimo subisce quando si impasta col potere, con le logiche mondane. La rivendicazione del messaggio cristiano all’origine di ogni salvezza è tuttavia assoluta, tanto da proporla come esemplificata nell’esperienza di Paolo: «Per capirne il senso cristiano – scrive – dobbiamo pensare proprio all’esperienza vissuta da Paolo, alla trasformazione che avviene in lui per iniziativa divina». «Il suo inno alla carità nella prima lettera ai Corinzi resta il manifesto più suggestivo della rivoluzione che Cristo porta nel mondo». Bisogna leggere questo testo per andare alla fonte anche dell’impegno di Francesco nel secolo e nella politica. Si potrebbero citare passi ancora più netti, come quello sulla “Potenza dello Spirito di Gesù risorto” nella Storia.
«La carità nasce da una commozione, da uno stupore, da una grazia», scrive il Papa. Diversa è l’origine, diversa la causazione ideale della solidarietà del non credente, che combatte la diseguaglianza per realizzare un mondo di liberi e uguali su questa terra. Ma io credo che pure noi dobbiamo essere grati al Papa che ci conferma questa differenza sulle cause prime delle nostre scelte. La diversità è la base del dialogo ed esso è tanto più fecondo quanto tra i diversi diventa simile la meta. Credo fosse Maritain ad avere detto che non è necessario per essere d’accordo sui principi – si può aggiungere sugli obiettivi di fondo – essere d’accordo su ciò che li ha originati in ognuno di noi. Il Papa cita Lutero: «I tuoi beni infatti non sono i tuoi, tu sei soltanto l’amministratore, col compito di distribuirli a coloro che ne hanno bisogno».
La critica alla proprietà e il suo limite risultano evidenti. Bertold Brecht lo ha detto diversamente; Proudhon ancora diversamente. Karl Marx, per parte sua, è andato a cercare nelle relazioni sociali, nei rapporti capitalistici di produzione, l’origine del profitto, dello sfruttamento, della diseguaglianza e della proprietà. Non credo invece avesse ragione Maritain quando, nel 1944, scrisse che il comunismo si presenta come “l’ultima eresia cristiana”, ma aveva ragione nel delineare la prospettiva dell’unità sui principi – si potrebbe dire sugli obiettivi strategici – di società tra quei diversi che pure li condividono. Aldo Moro parlava di convergenze parallele. Si è fatta della pessima ironia su quella formula che parlava di un trascendimento del reale, di un andare oltre.
Se si è interessati da non credenti, oltreché alla scelta, anche alle motivazioni di fondo delle scelte del pontefice, alle sue motivazioni religiose, è perché il dialogo tra diverse fedi (quella del sole dell’avvenire in un certo senso lo è) la conoscenza reciproca delle rispettive ispirazioni arricchisce il valore della scelta di ognuno e illumina, con le diverse ragioni ultime, gli obiettivi comuni e il comune cammino da compiere.
Scrive il Papa: «Fin dagli inizi, storicamente, la carità dei cristiani diventa attenzione ai bisogni delle persone più fragili… e poi… compassione, patire con chi soffre, condivisione. Diventa anche denuncia delle ingiustizie e impegno a contrastarle per quanto è possibile». Nella lezione del Movimento operaio, chi l’ha vissuta, ha imparato il simmetrico di questa relazione, ha imparato, cioè, che la denuncia dell’ingiustizia, la lotta per combatterla, diventa anche condivisione di chi soffre. Oggi, l’immigrato è la figura che parla, più direttamente di ogni altra, di questa unità necessaria e della connessione tanto con l’altro lontano che con l’altro vicino, una connessione necessaria per cambiare il mondo, prima che sia troppo tardi.
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