Nè di destra, nè di sinistra
Il conflitto tra letteratura e politica: chi scrive non ha colore
Carofiglio è di sinistra? Certamente lo è come cittadino, ma come scrittore di gialli? Ora, cosa significa essere uno scrittore di sinistra? Coincide con l’essere di “avanguardia” (qualunque cosa significhi), o almeno con la ricerca di una “forma” innovativa, progressiva? In tal caso l’intera letteratura di genere – gialli, spy stories, science fiction, rosa… – risulterebbe fatalmente di destra in quanto appartiene alla cultura di massa (ovvero: anche nel migliore dei casi mantiene la massa quello che è, la conferma nei suoi gusti e nelle sue idee ricevute).
Si torna a parlare di scrittori di destra e di sinistra, e dell’utilità – assai dubbia – di queste categorie fuori della politica. Lo ha fatto Matteo Marchesini sul Foglio citando Gaber e un vecchio articolo di Giovanni Raboni, che sosteneva che tutti i grandi scrittori sono reazionari. A rigore però se destra e sinistra riguardano solo il campo della politica non si dovrebbe parlare di scrittori reazionari e scrittori progressisti. Se si va in profondità le due cose sono troppo intrecciate. Credo poi che tra politica e letteratura esista una distanza incolmabile, e anzi una incompatibilità. In che senso? La prima dovrebbe semplificarci la vita (anche riducendo ingiustizie e sprechi), la seconda invece ce la complica terribilmente, moltiplicando i punti di vista, ribaltando le nostre certezze identitarie, facendoci identificare (ed empatizzare) con l’assassino di una vecchia usuraia o con un professore ossessionato dal sesso delle adolescenti. Per inciso: l’articolo di Marchesini è ben argomentato e condivisibile, però definire “romanzieri liberali” Brancati e La Capria, come suggerisce alla fine, mi pare riduttivo (so che questa non è la sua intenzione). Il nostro liberalismo, nel secondo dopoguerra, mi pare costretto entro una tradizione provinciale e un po’ angusta. Certo, entrambi collaborarono al Mondo di Pannunzio, nobile espressione della Terza Forza laica e democratica, in Italia sempre screditata, ma appunto così ricca di umori “libertari”, inquieti, da non poter essere confinata al liberalismo.
In una politica ridotta all’emergenza come quella attuale italiana è in realtà difficile immaginare una qualche biblioteca dietro i nostri partiti. Come dimostra un certo imbarazzo quando i leader devono parlare di “valori” e di “visioni”. Ad esempio: in questi giorni si è tornati a identificare la destra con Dio, Patria e Famiglia, una triade proposta dal fascismo che l’aveva presa da Mazzini (che però ci aggiungeva l’Umanità, precondizione indispensabile). Ma potremmo aggiungere: ordine, gerarchia, senso dello stato, e ancora coraggio, fermezza, onore, fedeltà, eroismo… Il punto è che sul piano esistenziale nessuno di noi è del tutto estraneo a questi valori. Infatti Simone Weil nella Prima radice, un testo fondamentale scritto nel 1843 (poco prima di morire) per rifondare l’Europa stessa dopo la guerra, parla dei “bisogni dell’anima”, di bisogni relativi alla vita morale, e procede per coppie di contrari: abbiamo tutti bisogno di libertà e obbedienza, di uguaglianza e gerarchia, di onore e punizione, di sicurezza e rischio, di libertà di opinione e verità, di ordine e responsabilità, di appartenenza e autonomia… Bisogni contrari, non per cercare la via di mezzo ma per combinarli in un equilibrio che possa soddisfarli. Se insomma disponiamo di una antropologia sufficientemente ampia, variegata, difficilmente potremmo accettare pretese di monopolio politico esercitate su qualsiasi valore. La morale comprende molte più cose della politica.
Andiamo all’interrogativo di Raboni. I grandi scrittori sono tutti reazionari o quantomeno conservatori? Limitiamoci al ‘900, e lasciamo perdere l’ ’800 con il legittimista Balzac e lo slavofilo Dostoevskij. Il catalogo è ampio. I più espliciti: da Benn a Forster, da Céline ad Hamsun, da Montale a Gadda, da Drieu La Rochelle a Nabokov, per non nominare Mishima…Ma potremmo tranquillamente aggiungere Proust, Joyce, il Musil nostalgico dell’impero austro-ungarico e il Mann antidemocratico delle Considerazioni di un impolitico, del 1918 (poi come è noto fece ampia autocritica). Il più grande critico letterario marxista del ‘900, Lukacs, distingue sottilmente tra ideologia soggettiva dell’autore e ideologia oggettiva dell’opera. E cita Marx che adorava appunto Balzac. Noi potremmo aggiungere che Céline finì certo collaborazionista con i nazi – in seguito ad un obnubilamento paranoico -ma ha scritto i più grandi romanzi “populisti” e anarchici del ‘900 (amati da Trotzskj), tutti dalla parte dei diseredati e degli ultimi. Pirandello aderì al fascismo appena dopo il delitto Matteotti – con un “tempismo” incredibile! – , ma la sua opera ha scardinato il soggetto borghese e ha decostruito qualsiasi idea di “ordine”.
Probabilmente i grandi scrittori condividono un certo pessimismo sulla natura umana, proprio del pensiero reazionario. De Maistre, fautore dell’idea di una natura perversa, malvagia e inguaribilmente barbarica dell’essere umano (a seguito del peccato originale) influenzò perfino Tolstoj. Ed è ciò che permette loro uno sguardo così radicale, una passione assoluta per la verità. Si potrebbe anche osservare che scrittori e intellettuali nel secolo scorso abbiano subito la fascinazione degli opposti totalitarismi, ma ciò non significa che le loro opere ne siano un mero rispecchiamento. Il fascista e antisemita Drieu La Rochelle, in ogni caso assai meno grande di Céline, ci ha lasciato romanzi violentemente antiborghesi e di critica della modernità, che, in quanto tali, non hanno un colore politico preciso.
Torno sul conflitto insanabile che oppone letteratura e politica. Un politico vuole soprattutto – e aggiungo: legittimamente – vincere, e dunque – non si offendano i politici – mente anche quando dice la verità! La verità cioè viene subito usata, strumentalizzata, piegata a un fine particolare, dunque è un po’ meno vera. I suoi animali simbolici sono machiavellianamente il leone e la volpe, la forza e l’astuzia. I partiti, diceva sempre Simone Weil assai prima della moda dell’antipolitica, hanno un solo scopo: autoriprodursi e crescere senza alcun limite. Lo scrittore, l’artista, non ha alcun fine.
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