L'editoriale
Il conto arriva sempre: Expo2030
Debacle Expo Roma 2030. Terza, addirittura dietro una città coreana. No dico: Roma, culla della civiltà occidentale, capitale di una nazione adorata nel mondo, e già privata, per tafazzismo grillino pauperista, della chance delle Olimpiadi.
Rendiamoci conto. Questo è lo specchio di quanto l’Italia fatichi a cambiare, distratta da discussioni marginali su cui si scanna, per poi presentarsi in maniera ridicola all’incontro con la realtà’ del mondo che va avanti e fa le cose, e che trasforma un’occasione per noi in un dramma.
Expo era un’opportunità enorme per portare nella modernità la città più bella del mondo arricchendo romani e non solo, come già accaduto a Milano otto anni fa (cioè poco, il che rendeva la candidatura di Roma ancor più ardua). Ci hanno guadagnato tutti: dai proprietari di casa agli albergatori, ai commercianti, ai professionisti che oggi ci vivono.
Ma a differenza di Milano, dove la politica offrì, da Letizia Moratti fino a Matteo Renzi, compattezza, lavoro e disponibilità a cercare appoggi e realizzazione di un progetto ambizioso, oggi Roma sconta un progetto debole, con alle spalle un lavoro diplomatico evidentemente scarso, che ha prodotto una debacle di cui, da romano, onestamente mi vergogno, anche se capisco che le logiche economiche pesino.
Nessuno mi può accusare di essere un detrattore del governo in carica. Lo sono assai di più di una Giunta Comunale che fatica a realizzare opere minime e lascia Roma in condizioni pietose rispetto alle sue enormi potenzialità. Ma al Governo urge una sveglia e la presa d’atto che servono migliori rapporti per curare l’interesse italiano.
Diciassette voti sono una miseria che illustra una incapacità di intessere relazioni a sostegno del nostro interesse nazionale. D’altronde, la politica italiana segue un’agenda da talk show. Intanto il mondo va avanti, fa cose serie e ne beneficia. Dormiamo per anni, in preda a pensierini da quinta elementare, sulla politica energetica e poi ci svegliamo con bollette che ammazzano famiglie e imprese che mettono a rischio posti di lavoro.
L’invecchiamento a breve rovescerà le proporzioni tra giovani e anziani, ma non si fa nulla per adeguare formazione e istruzione dei nostri giovani per consentirgli di esser protagonisti sul mondo del lavoro non appena terminati studi che dovrebbero (e oggi non lo fanno) prepararli a lavori che si possono solo lontanamente immaginare.
Anche se saranno quei pochi giovani a dover pagare le sempre più pensioni di una nazione la cui vita media per fortuna si allunga ma che viaggia con tremila miliardi di debito pubblico sulle spalle, su cui nessuno pensa di fare nulla e che generano 100 milioni l’anno di interessi da rimontare. I sindacati parlano di tutto, dal clima alla giustizia al reddito di cittadinanza alle riforme costituzionali, tranne che di lavoro moderno e di industrializzazione di un paese salutato persino dalla Marelli (ex Magneti), mentre alcuni magistrati inseguono la paralisi. Poi arriva il confronto con gli altri. E franiamo. Bella roba.
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