L'inchiesta e la nuova convocazione
Il Copasir indaga su Conte: dagli aiuti di Putin agli 007 americani, tutte le opacità dell’ex premier
Tra il 2016 e il 2020 si può dire che ci sia stata una sorta di “magnifica ossessione” da parte di alcuni apparati, non solo d’intelligence, e non solo italiani nei confronti di Matteo Renzi. Così come si può dire che il premier Giuseppe Conte – che ha blindato nelle sue mani e dell’amico generale Vecchione la gestione dell’intelligence per tre anni da giugno 2018 fino alla sua uscita da palazzo Chigi – ha maneggiato con troppa disinvoltura il suo incarico di responsabile della sicurezza nazionale. Che lo abbia fatto per interesse personale – il che presuppone una strategia, un progetto, un disegno – per gusto del potere e ambizione di potere o per una più banale, ma non per questo meno pericolosa, leggerezza, non cambia la morale finale: il leader del Movimento 5 Stelle ha ancora molto da chiarire su due circostanze diverse ma che intrecciano insieme lo stesso filo russo.
Questo chiarimento deve arrivare una volta per tutte e lo stesso Copasir – l’organismo parlamentare deputato a illuminare le dinamiche legate all’intelligence – non può più tirare per le lunghe vicende che hanno urgenza di chiarimento. Serve una parola finale di verità e chiarezza. E poiché i fatti hanno sempre una loro realtà metafisica che esula dal contingente, non c’è dubbio che le informazioni spiegate e argomentate ieri su La Repubblica – circa i rapporti tra Conte, il suo capo degli 007 Vecchione e il “ministro” della Giustizia Usa Bill Barr – e le ulteriori novità raccontate dal Corriere della Sera sui rischi e le ambiguità della missione russa all’epoca della prima emergenza Covid, aprono una seria ipoteca sulla leadership di Conte. Il quale ieri ha minimizzato tutto. E non ha trovato di meglio da fare che attaccare Matteo Renzi invitandolo “a presentarsi davanti al Copasir”.
Un’ossessione di nome Matteo
Circa l’ossessione dell’intelligence su Matteo Renzi, all’epoca premier, due indizi non sono ancora una prova ma quasi. Nelle carte dell’inchiesta Consip – processo che procede lontano dai riflettori presso il tribunale di Roma – era emerso con evidenza tra il 2016 e il 2017 come le indagini dei carabinieri del Noe, tutti ex dei servizi segreti, avessero anche un obiettivo politico: puntare a Tiziano Renzi “per colpire” il figlio Matteo. Poi questo aspetto inquietante della faccenda è stato derubricato nel tempo ad errori lessicali “come talvolta accade”. All’epoca destò scalpore e inquietudine.
Circa un anno e mezzo dopo, Conte già saldo alla guida del suo primo governo, salta fuori la storia di George Papadopoulos, ex consigliere di Donald Trump, secondo il quale nel 2016 fu l’allora premier Matteo Renzi “alleato” con Obama, Hillary Clinton e “agenti ostili” come il capo dell’Fbi a Roma Michael Gaeta a confezionare il Russiagate per impedire a Trump la conquista della Casa Bianca. Un racconto fumoso con al centro le mail di Hillary Clinton rubate dai russi e poi rilanciate a venti giorni dal voto danneggiando la corsa della prima donna alla Casa Bianca. Una vera polpetta avvelenata che, secondo Papadopoulos, fu veicolata a Roma dal professor Joseph Mifsud, docente alla Link Campus university. Di Mifsud si sono perse le tracce. La Link campus conobbe in quegli anni il suo momento di gloria poiché in quelle aule si formò la classe dirigente del Movimento 5 Stelle. Come che siano andate le cose, Trump nel 2019 si convinse che Roma era al centro di trame insostenibili. E che era giunto il tempo di smontarle. Mentre gli schizzi di fango erano tutti per Matteo Renzi. Così inviò nella Capitale il fidatissimo General Attorney Bill Barr.
Una cena e tanti buchi nell’orario
La storia è nota: Barr, oltre che ministro della Giustizia detentore della delega sull’Fbi, ha avuto ben due colloqui con l’allora capo del nostro Dis, il generale Vecchione, uomo ombra di Giuseppe Conte. Il primo fu il 15 agosto 2019. Il secondo il 27 settembre. Entrambe le volte Barr incontra Vecchione in piazza Dante, sede del Dis. Conte, più volte sentito sull’opportunità di queste riunioni, ha sempre chiarito – e lo ha fatto anche ieri con una lunga nota – che si trattò di incontri “tra omologhi” e autorizzati. Mai c’è stato un faccia a faccia Conte-Barr.
Il corrispondente di Repubblica da New York ha avuto accesso alle carte di questa coda del Russiagate e ha scoperto che negli schedule (programma ufficiale) di Barr ci sono alcuni “buchi” negli orari e una cena di troppo in piazza delle Coppelle. E ha posto, documenti alla mano, una serie di domande sui reali rapporti in quei giorni tra palazzo Chigi e la Casa Bianca. Siamo nell’agosto 2019, il Conte 1 è a un passo dalla crisi; il Conte 2 sta prendendo forma e due giorni prima, il 27 agosto, arriva l’incoraggiante tweet di Donald Trump: “Speriamo che l’altamente rispettato presidente del Consiglio italiano resti primo ministro”. La coincidenza tra il tweet di Trump e l’arrivo della seconda missione di Barr è una di quelle cose che stupiscono ogni volta che ce la troviamo di fronte.
Il lungo post di Conte
Anche ieri Conte ha replicato ai sospetti con un lungo post su Facebook il cui succo è: “Tutto normale, nessuna novità e nessuno scandalo. Se il giornalista mi avesse chiamato, gli avrei spiegato tutto”. Forse è necessario che Conte metta in conto una nuova audizione davanti al Copasir. E che i membri del Copasir smettano di avere timore reverenziale per un ex premier e inizino a fare le domande giuste. A chiederla, però, per ora sono solo due gruppi “minori” della maggioranza, Italia viva e Noi con l’Italia. Per il Pd ha parlato l’ex capogruppo al Senato Andrea Marcucci. Non pervenuto Enrico Letta che ancora deve capire fino a che punto gli conviene tenere aperta l’alleanza con un leader, Conte, non sempre corretto con il Nazareno in questi mesi. Non pervenuto anche il presidente del Copasir Adolfo Urso (Fratelli d’Italia).
Una nuova audizione. Anzi due
La nuova audizione di Conte dovrebbe essere divisa in due parti. Per chiarezza anche nella verbalizzazione. La prima sul caso Barr e magari in concomitanza con l’amico Vecchione. La seconda sulla missione russa ai tempi del Covid. È stato il Corriere della Sera ieri a ri- mettere nei guai l’ex premier tirando fuori le mail da cui emerge con chiarezza che la missione dalla “Russia con amore” era stata sì autorizzata ai massimi vertici – tra Putin e Conte – ma era anche un classico Cavallo di Troia per carpire segreti all’amica Italia. Le parole non lasciano dubbi. Nelle mail protocollate si parla di “inviare mezzi speciali per la disinfestazione di strutture e centri abitati nelle località infette”. Altro che medici, infermieri e mascherine. Anche i numeri non lasciano dubbi: di 104 persone, solo 32 avevano a che fare con le scienze mediche. Tutti gli altri erano militari e personale diplomatico, come noto il primo travestimento degli 007.
Dagli aerei atterrati a Pratica di Mare nel marzo 2020, in pieno lockdown, scesero 22 veicoli militari, 521mila mascherine, 30 ventilatori, mille tute protettive, 10 mila tamponi veloci e 100mila tamponi normali. Se non abbiamo avuto – si spera – militari russi in giro nei nostri uffici pubblici a captare informazioni che hanno a che fare con la sicurezza nazionale (qualcosa che oggi fa venire i brividi), è solo perché in quel marasma che fu il primo lockdown, il generale Luciano Portolano, comandante del Coi, e il numero 2 della Protezione civile Agostino Miozzo dissero, “no, grazie, non se ne parla proprio che voi andiate giro per i nostri uffici pubblici a disinfettare”. Le mail confermano anche il tono assertivo con cui i russi pretesero di aver pagato vitto, alloggio e “50 tonnellate di combustibile a titolo di cortesia”.
Conte ha chiesto e ottenuto di essere sentito appena questa storia uscì sui giornali. Era il 24 marzo scorso. Le mail pubblicate ieri dal Corriere della sera sono un’ulteriore conferma che l’ex premier non ha chiarito e non se la può cavare con un generico “eravamo nel caos, qualunque aiuto era ben accetto, quella di accettare la missione russa è stata una decisione condivisa da tutto il governo”. Lo stesso Copasir deve fare più pressione – una volta di più – per ottenere tutte le informazioni e, a questo punto, soprattutto le spiegazioni. Invece tende a rinviare il momento del chiarimento. L’audizione del generale Portolano, ad esempio, che alla guida del Coi oppose un energico no alle richieste russe, non è ancora nell’agenda di San Macuto.
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