Pasionario di Trump, nemico di Bergoglio
“Il Covid è una truffa”, l’arcivescovo Viganò benedice i nazi

Appuntamento sabato a Roma per dire no al Coronavirus, in quanto sarebbe una truffa. Alla manifestazione, con la regia di Forza Nuova, aderisce tra gli altri l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, filo trumpiano e anti-Bergoglio dal 2018. Sì: la caratteristica di questo stravagante Nunzio apostolico in pensione (Varese, 16 gennaio 1941; è stato Nunzio in Nigeria, poi negli Usa, e anche Segretario generale del Governatorato, cioè importante carica amministrativa per lo Stato della Città del Vaticano con controllo degli appalti e gestione delle strutture) è di essersi convertito al partito anti-Bergoglio solo da due anni. Il suo momento di unica e massima credibilità lo ha avuto nel 2018 con la lunga lettera-memoriale-dossier di una decina di pagine in cui sosteneva che i vertici della Chiesa cattolica, compreso papa Francesco, erano da anni a conoscenza degli abusi sessuali del cardinale americano Theodore Edgar McCarrick e che l’hanno coperto a lungo, prima che fosse finalmente preso qualche provvedimento. Viganò ha anche reclamato le dimissioni del Papa: sapeva tutto e anche Viganò da Nunzio sapeva tutto ed anzi avrebbe operato per portare a conoscenza la Santa Sede. Ma le prove dove sono? In ogni caso da due anni Viganò imperversa sui siti conservatori cattolici – gli unici a dargli qualche credito – e a scrivere contro il Papa. Di «misericordia» (pure dote dei sacerdoti) neanche a parlarne.
Nelle ultime 24 ore sono arrivati gli effetti speciali: «la vita cristiana è una militia, e con il sacramento della Confermazione siamo chiamati ad essere soldati di Cristo, sotto le cui insegne dobbiamo combattere». Certo «nella maggior parte dei casi si tratta di un combattimento essenzialmente spirituale» però è «stato necessario anche prendere le armi: ce lo insegna la strenua resistenza per respingere le invasioni islamiche a Lepanto e alle porte di Vienna, la persecuzione dei Cristeros in Messico, dei cattolici in Spagna, ed ancor oggi la guerra crudele ai cristiani di tutto il mondo». Dunque andiamo contro i nuovi nemici come le autorità sanitarie mondiali che vogliono vendere vaccini, un progetto di «criptovaluta» per l’identificazione personale e via dicendo. Si risponda con la messa in latino, il rifiuto del Concilio.
L’apoteosi del «bene» (loro) contro il «male» (tutti ma proprio tutti gli altri), ha spostato da qualche mese la linea avanzata della Viganò-Maginot: negazione della pandemia e appoggio incondizionato a Trump (da giugno) dopo la morte di George Floyd per mano di un poliziotto. Per questa vicenda, dopo le reazioni e le proteste contro polizia e governo, mons. Viganò ha scritto una lettera di appoggio a Trump, dicendo di stare dalla sua stessa parte nella eterna battaglia tra i «figli della luce» e «i figli delle tenebre». Pertanto «per la prima volta gli Stati Uniti hanno in Lei un Presidente che difende coraggiosamente il diritto alla vita, che non si vergogna di denunciare le persecuzioni dei Cristiani nel mondo, che parla di Gesù Cristo e del diritto dei cittadini alla libertà di culto. La Sua partecipazione alla Marcia per la Vita, e più recentemente la proclamazione del mese di aprile quale National Child Abuse Prevention Month sono gesti che confermano in quale schieramento Ella voglia combattere. E mi permetto di credere che entrambi ci troviamo compagni di battaglia, pur con armi differenti». Endorsement di rilievo, non c’è che dire… e difatti pubblicamente Trump lo ha ringraziato.
Ma per capire il personaggio torniamo alla lettera del 2018, pubblicata in coincidenza con il viaggio in Irlanda di Papa Francesco per l’Incontro Mondiale delle Famiglie, nel tentativo di condizionare questa visita. L’Irlanda cattolica (e non solo) è stata – ed è tuttora – profondamente colpita dalle conseguenze degli abusi sessuali commessi da esponenti del clero fin dagli anni Cinquanta e Sessanta ed emersi con prepotenza dopo il Duemila. Quindi sollevare un caso – anche se relativo agli Usa e al cardinale McCarrick – voleva aprire un enorme calderone in cui riversare accuse, illazioni, dubbi, sapendo che in Irlanda la questione era assai sensibile ed il terreno fertile per la polemica.
In ogni caso il 27 agosto 2018 il New York Times notava come la lettera di Viganò contiene «accuse non comprovate ed attacchi personali», e l’ha descritta come «una straordinaria e pubblica dichiarazione di guerra contro il papato di Francesco in un momento nel quale è più vulnerabile». Sta di fatto che dopo quel momento di pubblicità internazionale, di Viganò parlano solo i siti conservatori cattolici che formano una consolidata catena internazionale tra Usa, Italia, Spagna, Germania. Negli Usa in particolare a dare credito a Viganò è stato il cardinale DiNardo, arcivescovo di New York, presidente della Conferenza episcopale.
Insomma un gran polverone che fa perdere di vista i temi di fondo della questione. Il primo riguarda il nodo della questione: gli abusi. La ferita è sempre aperta e la strumentalizzazione dietro l’angolo. La strumentalizzazione deriva dal fatto che tra tutti i suoi due immediati predecessori, Papa Francesco è il pontefice che più ha fatto contro gli abusi. Ha creato una Commissione permanente, ha introdotto normative aggiornate, soprattutto ha preso provvedimenti (McCarrick lo ha rimosso da cardinale, cosa non da poco…) e ha riconosciuto pubblicamente di essere stato male informato sulle vicende del Cile, dove molti vescovi sono stati sostituiti. Certo non è indenne da errori ed omissioni, ma insomma non lo si può accusare davvero di «coperture» indiscriminate. Naturalmente nella foga anti-papale i conservatori tacciono dei provvedimenti del Papa e quando ne parlano, per loro è sempre troppo poco!
Punto secondo: il fronte conservatore è contro il Papa non per quello che dice o fa sul tema degli abusi, ma per la linea di fondo di tutto Pontificato. Papa Francesco viene dipinto come un pontefice «rivoluzionario» che vuole distruggere la dottrina o il Magistero. Naturalmente non è vero, e non sono «rivoluzionari» i suoi «sostenitori» in Curia. Tutt’altro. Papa Francesco (come gli altri arcivescovi e vescovi che seguono la linea, mons. Paglia lo cito a esempio per tutti) è solidamente formato in teologia (come potrebbe essere altrimenti?) ed è tutt’altro che «rivoluzionario» (nessun cardinale lo è!). La sua «diversità» (presunta) deriva dallo «stile»: ogni Papa del resto ha il suo. Ma soprattutto deriva da una sensibilità pastorale che gli ha fatto cogliere uno snodo di fondo della presenza della Chiesa nel mondo: la necessità di inserire i temi classici dell’etica teologica nel dibattito sociale e culturale e riaprire «l’orizzonte umanistico».
Per dirla con le parole dello stesso Papa Francesco: «È tempo di rilanciare una nuova visione per un umanesimo fraterno e solidale dei singoli e dei popoli. (…) E sappiamo anche che la coscienza e gli affetti della creatura umana non sono affatto impermeabili, né insensibili alla fede e alle opere di questa fraternità universale, seminata dal Vangelo del Regno di Dio. Dobbiamo rimetterla in primo piano. Perché una cosa è sentirsi costretti a vivere insieme, altra cosa è apprezzare la ricchezza e la bellezza dei semi di vita comune che devono essere cercati e coltivati insieme. Una cosa è rassegnarsi a concepire la vita come lotta contro mai finiti antagonisti, altra cosa è riconoscere la famiglia umana come segno della vitalità di Dio Padre e promessa di una destinazione comune al riscatto di tutto l’amore che, già ora, la tiene in vita».
E ancora: «Noi sappiamo bene che la soglia del rispetto fondamentale della vita umana è violata oggi in modi brutali non solo da comportamenti individuali, ma anche dagli effetti di scelte e di assetti strutturali. L’organizzazione del profitto e il ritmo di sviluppo delle tecnologie offrono inedite possibilità di condizionare la ricerca biomedica, l’orientamento educativo, la selezione dei bisogni, la qualità umana dei legami. La possibilità di indirizzare lo sviluppo economico e il progresso scientifico all’alleanza dell’uomo e della donna, per la cura dell’umanità che ci è comune e per la dignità della persona umana, attinge certamente a un amore per la creazione che la fede ci aiuta ad approfondire e a illuminare. La prospettiva della bioetica globale, con la sua visione ampia e l’attenzione all’impatto dell’ambiente sulla vita e sulla salute, costituisce una notevole opportunità per approfondire la nuova alleanza del Vangelo e della creazione. La comunanza nell’unico genere umano impone un approccio globale e chiede a noi tutti di affrontare le domande che si pongono nel dialogo tra le diverse culture e società che, nel mondo di oggi, sono sempre più strettamente a contatto».
Le due citazioni – tratte dalla Lettera Humana Communitas del 2019 – mostrano una novità di accenti: una visione della difesa della vita umana a tutto tondo e una difesa della vita umana nel contesto di una difesa dell’ambiente (il Creato, la Terra), senza il quale la vita non è possibile. Ecco spiegati gli attacchi. Da un lato si arroccano a difesa gli interessi economici e finanziari che vengono toccati da una Chiesa dalla parte dell’ecologia (una linea costante che parte dalla Bibbia, procede con San Paolo, San Francesco, il Concilio Vaticano II, Benedetto XVI, solo per esempio) come ha dimostrato il Sinodo sull’Amazzonia. Dall’altro lato, si estremizza la politicizzazione e la strumentalizzazione da parte di quei gruppi che non accettano un approfondimento della Dottrina sociale e preferiscono una schizofrenica divisione per cui dire sì alla vita significa essere contro l’aborto e a favore della pena di morte, del possesso e uso delle armi (come accade negli Usa perché è espressione della libertà dei cittadini garantita dalla Costituzione).
La schizofrenia si spiega con le lobbies economiche. Senza accorgersi che un modo di produzione economicamente sostenibile, oltre ad essere razionale (migliore uso delle risorse, loro mantenimento e rinnovabilità) è anche un affare, come dimostrano studi, ricerche, esperienze in atto (qui impossibili da sintetizzare ma si può vedere qualche esempio nell’ultimo libro di Luciano Floridi Il verde e il blu, Cortina editore). Ecco ricollocate in una migliore prospettiva le opposizioni a Papa Francesco e le «viganate» del Viganò di turno. Vanno dentro una disputa ideologica che stende una cortina fumogena sulle vere questioni del dominio-controllo del nostro futuro in senso democratico o autoritario. Una sfida non da poco, di cui il negazionismo spicciolo e miope è uno specchietto per distrarre dai veri obiettivi e chi manifesta sabato (o chi ha già manifestato in passato o lo farà in futuro) è dentro una strumentalizzazione. Per Viganò, di nuovo, una deriva distante dagli inizi. Forse voleva fare più carriera; ma arcivescovo non è abbastanza?
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