Premessa. La dottoressa Elisabetta Cesqui è un magistrato di altissima esperienza e professionalità. Durante la sua lunga carriera ha condotto tante inchieste importanti, come quella sulla loggia massonica di Licio Gelli. Sostituto presso la Procura generale della Cassazione, a marzo del prossimo anno lascerà la magistratura per sopraggiunti limiti di età. La scorsa settimana la magistrata è stata scelta da Andrea Orlando (Pd) come suo nuovo capo di gabinetto al Ministero del Lavoro. La dottoressa Cesqui aveva già svolto l’incarico di capo di gabinetto di Orlando quando quest’ultimo era ministro della Giustizia nella precedente legislatura.

Le scelte dei ministri sono, giustamente, insindacabili: ogni ministro è libero di affidare l’incarico di capo di gabinetto, essendo un ruolo di strettissima fiducia, a chi vuole. Fra Cesqui e Orlando, poi, c’è anche la condivisione di comuni esperienze valoriali, essendo la magistrata una storica esponente di Magistratura democratica, la corrente “rossa” delle toghe, e il ministro un rappresentate di primo piano della sinistra dem. Il Csm in casi come questo provvede ad autorizzare il “fuori ruolo” di default. L’unico paletto, dice la norma, è la scopertura dell’organico nell’ufficio dove il magistrato presta servizio. Scopertura che non deve superare il venti per cento. Nel caso della Procura generale della Cassazione la scopertura è adesso superiore al venti per cento. Quindi la dottoressa Cesqui non poteva essere collocata fuori ruolo. Il Csm questa settimana è stato di diverso avviso e ha dato il via libera al neo capo di gabinetto. Il dibattito è stato molto acceso. Contrarissimo Nino Di Matteo che ha invitato tutti a “rispettare le norme”. All’ex pm antimafia va dato atto di essere fra i pochi consiglieri del Csm a cui non si addice la storica frase di Giovanni Giolitti: «Per i nemici le leggi si applicano, per gli amici si interpretano».

La delibera è passata con dodici voti a favore, sette contrari, tre astensioni. A favore i cinque togati della sinistra giudiziaria di Area, i tre di Unicost, i laici Filippo Donati (M5s) e Michele Cerabona (FI), e i capi della Cassazione, il primo presidente Pietro Curzio e il pg Giovanni Salvi, entrambi della stessa corrente della dottoressa Cesqui. Contrari i tre togati ex davighiani, l’indipendente Di Matteo, i due laici della Lega, il togato di Magistratura indipendente Antonio D’Amato. Si sono astenute le due togate di Mi e l’altro laico pentastellato Fulvio Gigliotti. Se invece di astenersi questi tre consiglieri avessero votato come i loro colleghi di schieramento, il voto di Salvi, il capo ufficio della dottoressa Cesqui, sarebbe stato determinante. La dottoressa Cesqui ieri, ultimo giorno di servizio, ha salutato tutti colleghi con una mail e in particolare “Giovanni Salvi, amico di una vita, che mi ha incoraggiato generosamente ad accettare la proposta, pure in un momento non facile per l’Ufficio”.

Un “consolidato rapporto di stretta amicizia” è stata, settimane addietro, causa di una delle tante incolpazioni disciplinari da parte della Procura generale della Cassazione nei confronti dell’ex presidente dell’Anm Luca Palamara. Il motivo è non essersi “astenuto” in un procedimento disciplinare al Csm a carico della collega Mara Mattioli nel 2018. Nel procedimento, per la cronaca, la magistrata era stata condannata. Come prova del “risalente rapporto comunicativo e di frequentazione”, la Procura generale della Cassazione aveva prodotto la chat fra i due magistrati. Una chat molto scarna se confrontata con altre. Ma tant’è. «Buongiorno Luca, sono Mara Mattioli. Come va? Rientrato dalle ferie? Volevo passare alla ripresa del lavoro. Quando posso venire?», esordisce la magistrata.

«Cara tutto bene. Ci vediamo domani alle 11 da me?», risponde subito Palamara. Mattioli: «Ok, grazie. All’entrata devo chiedere di te?». Palamara: «Appena arrivi mi squilli». Il tenore della conversazione non pare caratterizzare un rapporto di “stretta amicizia”. È un caso più unico che raro, infatti, che fra amici ci si scambi messaggi presentandosi all’inizio con nome e cognome. Alla Procura generale della Cassazione sono stati, però, di diverso avviso. Seguendo tale impostazione, quella dell’intensità dei rapporti, cosa potrà allora succedere a Salvi che ha caldeggiato e votato la nomina di una sua amica di vecchia data? O l’affidamento degli incarichi agli amici, se non riguarda Palamara, non fa testo?