Dieci giorni. Per dieci giorni abbiamo sperato, inutilmente. Ad illuderci, il ricordo ancora vivo del recentissimo sciopero della magistratura a difesa della Costituzione. Invece, niente baluginar di coccarde tricolori; nessuno sventolìo di cartelli inneggianti alla «più bella del mondo»; nessuna foto di gruppo – dress code togato – sulle scalinate dei palagiustizia, postabile sui social più en vogue; nessun flash mob. Eppure, se c’è un’iniziativa legislativa del governo che liquida inappellabilmente il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) e quello di determinatezza della legge penale (art. 25 Cost.), è proprio il ddl partorito il 7 marzo scorso sul cosiddetto femminicidio. Svolta storica ed epocale, l’ha trionfalisticamente battezzata il team ministeriale delegato alla propaganda urbi et orbi.

Poche reazioni

In un certo senso, è difficile dar torto a quegli entusiasti artefici del postdiritto punitivo: come ha detto – magistralmente – Giovanni Fiandaca, siamo di fronte a «un insulto ai princìpi di un diritto penale costituzionalmente orientato», tale da meritare una protesta «visibile ed eclatante» dei professori di quella materia, con sospensione di lezioni ed esami e promovimento di pubbliche manifestazioni di dissenso. Un insulto, dunque, che a una paladina incrollabile della (o sulla?) Carta, come si autoproclama Anm, avrebbe dovuto ispirare quantomeno le medesime reazioni suscitatele dalla tanto vituperata riforma di ordinamento giudiziario. Nutrendo quest’ aspettativa, abbiamo navigato sul web, compulsato testate giornalistiche, setacciato rassegne stampa. La ricerca è stata deludente, se si eccettua l’intervento critico di Riccardo Di Vito sul sito Volerelaluna.it, ma che, come noi qui, si esprime a titolo personale.

Il commento di Parodi

Ad oggi, dunque, dobbiamo registrare come unico commento targato Anm quello pronunciato l’8 marzo dal suo presidente, dottor Parodi (la conferenza stampa è disponibile su YouTube). Per quanto egli abbia premesso di parlare del ddl non come leader del sindacato dei magistrati, resta il fatto che quella veste la incarna; pertanto, le sue parole pesano in modo diverso. Vediamole: le indicazioni del governo sono per lui «tutte in astratto condivisibili, perché vengono a rafforzare un sistema di tutela che risponde a un’esigenza effettiva e straordinaria del Paese». Non basta: Parodi riconosce una «forte valenza a livello politico e di indicazione generale» al «voler sottolineare la rilevanza di questo fenomeno dove la donna viene uccisa in quanto donna». L’unica preoccupazione che -condivisibilmente, beninteso – lo affligge è di tipo organizzativo, laddove il ddl imporrebbe l’obbligo per i pm di raccogliere personalmente le dichiarazioni in indagini della persona offesa: si crea «un problema pratico di proporzioni colossali», non essendo coniugabile questo «principio bellissimo» con le carenze di organico e gli incombenti delle Procure. Dubbi di costituzionalità? Nessuno. Attribuzioni improprie di funzioni pedagogiche alle norme penali? Nessuna. Figuriamoci l’«insulto» di Fiandaca…

Il silenzio alimenta un sospetto

Capirete, dunque, perché prima di buttar giù queste righe abbiamo aspettato che il ben noto pluralismo culturale, espresso dalle correnti, potesse trovare sfogo. Il silenzio prolungato alimenta un sospetto, anzi due, tra loro alternativi (evitiamo la citazione andreottiana del peccatore indovino): tutta Anm la pensa come il suo presidente; a qualcuno il ddl non piace, ma il braccio di ferro col governo sulla riforma di ordinamento giudiziario sconsiglia di aggiungere critica a critica, anche perché – con questi chiari di luna – essere screditati dinanzi all’opinione pubblica come nemici delle donne è un attimo. In entrambe le ipotesi, quel silenzio disarma chi crede per davvero, con Fiandaca, che «in uno Stato liberaldemocratico è più coerente astenersi dall’assegnare alla repressione anche il compito di cercare di correggere o orientare inclinazioni etiche, tipi di mentalità o atteggiamenti interiori»; essendo piuttosto tipico «degli Stati autoritari confondere legalità e moralità». E trasmette il messaggio che certi appelli alla Costituzione siano soltanto pura propaganda.

Non è mai troppo tardi per smentirci

Oh, non è mai troppo tardi per smentirci, almeno finché quel ddl non diventerà legge, con il verosimile sostegno unanime di un Parlamento ridotto all’analfabetismo penale, nutrito di populismo ed ebbrezza punitiva: magistratura, università e avvocatura saranno capaci di convergere in una battaglia di civiltà per dire no a quello che UCPI ha stigmatizzato come il «tempo delle grida»?

Lorenzo Zilletti

Autore