Lo scambio di prigionieri, il più affollato dai tempi della guerra fredda, ha confermato che esiste un mondo parallelo e invisibile che funziona, o meglio comanda. Coincide col Deep State, lo stato misterioso dell’intelligence e degli omicidi selezionati, dei ricatti e degli scambi. Gli ultimi avvenimenti dimostrano che siamo tornati ai tempi in cui Stati Uniti e Unione Sovietica, ora Federazione russa, seguitano a vivere una loro relazione segreta in cui litigano, fanno sesso, si minacciano separazione e resa dei conti, ma poi trovano un accordo e lo fanno.

Su come si sia arrivati allo scambio di prigionieri, i giornali americani sono zeppi di storie come serie di film in cui appaiono e scompaiono assassini inveterati, innocenti arrestati, giornalisti catturati per essere scambiati con assassini a pagamento. Ma l’importante è che il matrimonio funzioni e che ogni tanto dia la prova che esiste un livello superiore in cui poche persone si incontrano, si parlano e si chiedono se davvero vale la pena combattere una guerra.

Cina e Russia

Ed è interessante seguire il cambiamento stilistico delle dichiarazioni del Presidente russo Vladimir Putin, del ministro Lavrov, del portavoce Peskov e dei pochi maggiorenti del Cremlino che in questi giorni usano un linguaggio misurato e quasi insignificante. Putin insiste sulla visione della Nato come un drago vorace che vuole mangiare quel che resta della Russia, ma lo dice con un tono da litania, senza cariche emotive. Gli scacchieri sono ormai dei vasi comunicanti – Ucraina, Gaza, Iran, Cina, Taiwan – e quel che succede in uno si riversa sugli altri. Sicché i cinesi pur stando dalla parte dei russi, ripetono che nessuno può imporre lo smembramento dell’Ucraina perché è uno Stato unitario e non una polpetta. Questo infastidisce Lavrov che alza le spalle: “Lo dicono sempre e ormai ci siamo abituati”. Ma non spiega perché.

Il motivo per cui la Cina è alleata della Russia (ma non della conquista russa) sta nel fatto che i cinesi quando parlano dell’Ucraina, pensano a Taiwan. E se dovessero ammettere la liceità dello smembramento dell’Ucraina dovrebbero concedere lo smembramento della integrità cinese cioè Taiwan stessa. Quello che succede nel Medio Oriente è lampante: Netanyahu coglie vittorie militari che spolpano la capacità reattiva iraniana di sfornare personaggi con la patente di moderati o di mediatore. E li fa uccidere perché non vuole la tregua ma la fine di Hamas: persone disposte a concedere scambio di prigionieri contro tregue armate, liberando ostaggi e prigionieri in cambio di altrettante liberazioni. Questo è il motivo per cui il governo israeliano con implacabile freddezza seguita a fulminare con i suoi aerei tutti protagonisti di questa linea che in sostanza permette ad Hamas di restare dove è, ricostituirsi e ripartire da un nuovo 7 ottobre.

Usa

In questo la politica americana sta da tutte e due le parti: Kamala Harris deve mettere in conto che se vuole vincere le elezioni deve tenere con sé quell’elettorato “brownish” marroncino fatto di giamaicani, indiani, immigrati dal sud est asiatico e latinos guatemaltechi o di un sud che affonda le radici nel profondo Cile e che è risalito fino a entrare negli Stati Uniti. Harris ha una pelle al punto giusto e ha avuto un’educazione scolastica nei migliori college per neri ed è diventata la “darling” dell’Associazione dei giornalisti afroamericani, che per lei si sono scontrati a male parole con Trump, il quale è tornato sulla linea originaria. In un primo momento ha cercato di prendere l’atteggiamento di chi è stato toccato da una pallottola sulla via di Damasco definendosi protettore della pace e dell’armonia, per poi capire subito dopo che il suo elettorato non ne vuole sapere di questo buonismo ma pretende un Trump duro e puro, che stia dalla parte degli elettori bianchi con un reddito inferiore a quello dei neri, e che abitano sotto le montagne, nelle pianure della povertà, nutrendosi di popcorn e birra per riprodurre il cliché da noi europei tanto amato dell’americano obeso perché è povero, volgare, reazionario, manesco. Quello è l’elettorato che si è già coltivato perfettamente Vance, l’intellettuale che Trump si è scelto come vice e che è figlio di quella etnia dimenticata. Si può guardare su Netflix il film Elegia Americana che è l’autobiografia di un ragazzo grassotto e impaurito e che è proprio lui stesso, oggi J.D. Vance, abusato da una madre ubriacona e drogata, protetto da una nonna non meno violenta, padre assente. Figli, cugini, zii e parenti tutti allo stesso livello di infelicità, povertà pregiudizio e rancore per l’altra America delle grandi metropoli che pullulano di intellettuali e di transgender, che li trattano come una sottospecie umana più vicina ai Neanderthal che all’uomo di New York. Abbiamo detto tante volte delle divisioni tra generi e comportamenti sessuali che si mischiano alle varie etnie, alle parlate, alle posizioni religiose di ogni genere, all’alimentazione, e alla politicizzazione avanzata dei gruppi LGBT che porterebbe a una ripetizione di un quadro americano simile a quello quando fu eletto Abraham Lincoln abolitore della schiavitù che spaccò l’America in due eserciti in uniforme che si massacrarono producendo seicentomila morti e un milione di mutilati. Famiglie spezzate, fratelli divisi fino alla resa dei confederati scissionisti schiavisti. Ora non siamo a questo punto, non ancora, ma tutti vedono nelle armi delle parole sprezzanti e la spaccatura per cui i liberal non parlano coi conservatori perché non sono più veramente liberal, e i conservatori non hanno nulla da conservare e chiedono la rivolta contro lo Stato federale (l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021 come la presa del Palazzo d’Inverno a San Pietroburgo). Sicché gli osservatori custodi dei think-tank vedono l’alba di una guerra civile che è la malattia ciclica di questo paese, come sostiene George Friedman che – malgrado sia uno dei tanti figli delle colonie inglesi – non ha nulla a che vedere con altre vaste lande come il Canada, l’Australia o la Nuova Zelanda. Gli Stati Uniti hanno molte maschere e sono preda di odi profondi. Ognuno ha bisogno della sua nicchia di minoranza oppressa e chi resta senza nicchia è perduto. Per questo motivo la calata dal cielo della candidata Kamala Harris, di personalità finora irrilevante ma brunastra, appena emersa ha subito fatto il pieno in un Paese in cui esiste persino una potente minoranza russofona, per non dire di quella cinese e vietnamita. Anche la fraternizzazione tra bianchi e neri, un cavallo di battaglia dell’epoca Clinton e Obama, è fallita. Dove prima i giovani di tutti i colori flirtavano e giocavano, oggi i neri stanno con i neri e i bianchi con i bianchi. Questa implacabile frammentazione dimostra che l’ibrido del logos di Benetton non è attraente, e che sempre più ogni nucleo vuole annusare la sua cipolla nella zuppa di famiglia.

La novità del Deep State

E tuttavia – ecco la novità di ieri e ieri l’altro – il Deep State, la segretissima camera dei bottoni, il domicilio di chi comanda davvero e studia e pensa e agisce, esiste. Ed è il Deep State che gioca come ai tempi di Talleyrand la partita degli accordi e delle guerre fantasma, o della chiusura delle guerre, o a mobilitare la più grande armata di tutti i tempi per combattere sapendo di poter sempre vincere. Di qui la posizione di partenza di Trump: essere armati quanto basta da poter vincere tutti, ma non sparare un solo colpo. Il mito di John Wayne e dell’“Americano Tranquillo”. Trump è l’unico presidente che ha governato senza sparare un colpo. Ma ecco che Biden ha capovolto lo score della partita e appare vittorioso rapito dagli angeli mentre abbraccia tutti gli uomini delle donne liberate dallo scambio di prigionieri. Altrettanto faceva Putin dalla parte opposta. Ed è così che è apparsa viva e materiale la de-escalation, il raffreddamento: “hold your horses”, trattieni i tuoi cavalli, perché lo stato di guerra marcescente in Ucraina e in Medio Oriente si è raffreddato e c’è la certezza che l’Iran non abbia la minima voglia di scendere in guerra contro Israele, ma solo uscirne con le ossa meno rotte. Ed è ciò che Netanyahu non vuole perché pensa di essere forte abbastanza per ridisegnare il Medio Oriente e non poi così solo, visto che gli Stati Uniti al di là dei fieri rimbrotti sono con lui. La Cina è sempre più spaventata dalla prospettiva di fare bancarotta e per la prima volta gli Stati Uniti hanno ripreso il comando delle operazioni internazionali riconoscendo alla Russia il suo ruolo imperiale come ai tempi di Breznev. Con i cinesi tratta di tariffe e di dogane. Con gli europei di partecipazione economica, pezzi di ricambio e fedeltà atlantica. Tutto questo il popolo americano non lo percepisce in modo nitido perché abbagliato da troppi fatti che ogni giorno illuminano le news. La pallottola e l’orecchio, gli insulti brucianti, il chiacchiericcio sul web contano meno di una classe dirigente cresciuta nella continuità del Dipartimento di Stato, in grado di portare a casa risultati inattesi, segreti e rassicuranti come lo scambio di prigionieri che mostra la possibilità di controllare la guerra e la pace.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.