Il 15 dicembre Antonio Bargone mi spiega l’intricata faccenda Forleo. La ricostruzione mi pare attendibile. Come si spiega che un questore con quelle caratteristiche, con collaboratori trasferiti a Nuoro e dintorni, abbia fatto quella carriera fulminante (Brindisi, Firenze, Milano)? È evidente che godeva di protezioni politiche, ed è quindi comprensibile che Bargone abbia avuto da dire (e lasciamo perdere i particolari imbarazzanti che mi descrive Latorre, Forleo voleva omissis). Per questi motivi tra i due non correva e non corre buon sangue, anche se, come mi dice Calvi, Forleo continua a parlare bene di Bargone dalle patrie galere. Su Rollo Bargone dice che è un perseguitato, che non trovano capi di imputazione e che lui non tradisce un amico. Comunque si tratta di storie confuse, inestricabili, a me tocca ascoltarle, ma cerco di non entrarci in alcun modo.

Il prossimo fine settimana Ocalan dovrebbe essere spedito via (dove non lo so e non voglio saperlo). Se ne occupano Minniti, Latorre e Cuillo. Dipartimenti da rifare. De Ioanna ritarda, blocca, impedisce, e noi cerchiamo di cambiare qualcosa. È il tema eterno della burocrazia. Ora (16 dicembre) la situazione politica comincia a preoccupare. I Ds di Roma hanno attaccato violentemente Rutelli per il voto romano e lui ha risposto per le rime. I Ds sono scemi, perché l’attacco fatto ora è insensato. Anche se Rutelli è quello che è. Detto questo, il problema è che il governo dovrebbe sconfiggere con una forte azione riformista il teatrino politico. D’Alema dovrebbe essere in grado di dire: questa è la mia politica, il resto non conta. Una sorta di discorso alla politica italiana, questo ci vorrebbe. Per esempio si potrebbe fare a gennaio, istruendo bene la pratica, un’assemblea dei gruppi parlamentari della maggioranza per l’attuazione del programma di governo.

Ocalan è libero perché la magistratura tedesca ha revocato l’ordine di cattura internazionale. La vicenda ha aspetti ridicoli, soprattutto per i tedeschi. Ma ora è più facile o difficile l’allontanamento del curdo? È più difficile certamente. Infatti nel pomeriggio Latorre va dai curdi, poi dai libici, successivamente si incontra direttamente con Ocalan per dirgli che se ne deve andare subito, con le sue gambe, se non vuole che i turchi già sbarcati dall’Albania lo facciano fuori. Il casino è grande. D’Alema incassa il via libera dei capigruppo parlamentari ed è calmo e sornione. Ma non so quanto governi la situazione. La cosa più grave di tutte è che noi siamo stati gli ultimi a sapere di Ocalan. Erano informati i tedeschi, l’Interpol, la direzione generale del ministero di Grazia e Giustizia. Il governo non sapeva nulla.

Giornata pazzesca, sempre mercoledì 16. Latorre sta da Ocalan per convincerlo ad andare via, a Roma viene giù un palazzo e ci sono trenta morti, alle 22 e 30 Clinton bombarda l’Iraq. Noi andiamo alla partita con i figli, al ritorno passiamo da Portuense, e poi siamo fino alle 2 e 30 a Palazzo Chigi (luci spente e porte chiuse, aspettiamo che arrivi qualcuno ad aprirci le stanze). Una concentrazione assurda di guai. Dico a D’Alema che usufruirà anche lui del fattore Iraq. Domani vedrà le forze sociali per chiudere il patto per il lavoro. Lo firmeranno, succederà come in America, dove hanno rinviato la procedura di impeachment per Clinton.

Il problema Rondolino. Ha combinato un casino, prima con un’intervista di D’Alema alla Stampa in cui il presidente ha detto cose pazzesche sui suoi colleghi europei, poi con due collegamenti Tv con Lerner e Santoro di cui non si sapeva niente, su ospiti, modalità e quant’altro. Come affrontare il problema? Come sempre, la responsabilità è mia, dice quello. A Rondolino voglio un bene assoluto, lo copro sempre, ma forse bisogna trovare una via d’uscita, qualche incarico per lui, tipo un sub-commissariato per il Giubileo, che forse è a disposizione. Venerdì D’Alema non va a Berna per la nebbia e si mette in collegamento con gli emigrati. Cofferati non va all’incontro con le parti sociali perché non trova posto alla riunione: cose da pazzi. Ocalan va via. Dove? Si cerca una soluzione. Sento parlare di Yemen, Croazia, sempre via Russia. C’è un gran giro di servizi segreti: i turchi hanno saputo, perché i palestinesi hanno avvisato gli israeliani che glielo hanno detto. Un casino.

Fine settimana di discussione sul patto sociale. Da Vissani sabato sera ci chiediamo: bisogna stare sottocoperta, come dice D’Alema, oppure farsi vedere, volare alto, farsi venire qualche idea. Naturalmente la discussione astratta non ha senso. Se l’idea è buona, si sviluppa, altrimenti no. Poi si parte per gli Stati Uniti, dopo Natale. Il soggiorno è riposante e divertente. Solo la presenza dei giornalisti offre ogni tanto a D’Alema la possibilità di sfoghi vari. In Italia tutto tranquillo (oddio, tranne una strage di mafia). La popolarità di D’Alema migliora. Al ritorno si profilano diversi problemi di nomine (Enti previdenziali e Agenzia). Fine delle vacanze, è il 7 di gennaio. La polemica Prodi-Cossiga si fa più seria e minaccia di coinvolgere in qualche modo il governo. Cosa fare? Cossiga sostiene che la candidatura di Prodi in Europa è questione che riguarda il governo in quanto tale, D’Alema ha detto di no qualche giorno fa. Può giocarsi in proprio la partita il nostro? Giornata difficile, la polemica di Cossiga tiene banco, noi rispondiamo, Cossiga non si fa trovare. Sulle tariffe telefoniche iniziativa di D’Alema, Cheli chiede la sospensione degli aumenti e D’Alema apprezza. Con Cossiga si fa pace. Bisognerebbe impedire che Prodi si presenti con Rutelli e Di Pietro, consegnare a Cossiga il bollino dell’Ulivo e fargli fare le liste con popolari e Dini. D’Alema e Minniti sono al lavoro.

A Milano c’è recrudescenza criminale, nel fine settimana. Domenica chiamo D’Alema e gli dico che deve andare a Milano. Obbedisce. Gli aggiungo il giorno dopo che l’unica misura da prendere è unificare i poteri di ordine pubblico nelle mani dei sindaci, per motivi concreti e per motivi politici. Si lavora a qualcosa che si avvicini a questa soluzione. D’Alema è a Milano martedì 12, forse decideremo la sala operativa unica che è il primo passo, io gli ho detto di farla aprire entro quindici giorni, così quando torna a Milano il 26 e 27 può inaugurarla. Non ho fatto la proposta solo per mettere a segno un punto nell’attività di governo, ma per dimostrare a noi stessi che si può cambiare qualcosa in questo cazzo di paese. In generale in questi giorni sento che mi riprende una sindrome tipica dei tempi di Botteghe Oscure. Stiamo cambiando, stiamo facendo qualcosa, o l’immobilità è sovrana? Non sono in grado di dirlo, perché alcune cose si fanno, ma è come se avvertissi la mancanza di uno slancio, di un disegno generale, un’assenza di senso di quello che facciamo. È il solito grande problema. D’Alema non mobilita i cuori, non indica dei grandi obiettivi. In fondo l’unico suo slogan è quello più vero: “il paese normale”. Cioè l’assenza di pulsioni, il funzionamento ordinato, ma la normalità in Italia prevede che le cose funzionino così, con i noti ritardi, con le inadempienze.

Il paese normale è già l’Italia. l’Italia di sempre. Il paese normale non prevede alcun cambiamento, non sarebbe più normale. Perché in Italia è normale che le cose non funzionino, che si prendano misure senza attuarle e verificarle, etc… ieri è andato in sezione ad iscriversi e se l’è presa con i giornali che non dicono le cose che funzionano. Solite cose… Ocalan sta andando via, forse. Dovrebbe partire stasera alle 19 per la Russia e poi per una destinazione sua, con un aereo della Snam. Vedremo come andrà a finire. Scandalosa trasmissione di Vespa ieri sera, con personaggi che vogliono armarsi, hell’s angels in libertà e quant’altro. Ne parlo con Celli e Saccà. Ocalan non è partito. Ci stanno prendendo in giro, forse anche i servizi, che prendono ordini dagli americani. Non so come vanno le cose, parliamoci chiaro! È difficile farsi un’idea precisa… Bisogna promuovere una settimana di presenze di D’Alema nel Mezzogiorno per inaugurare, aprire aziende, etc… bombardare l’opinione pubblica per mettere sotto giornali, Prodi, commenti stupidi, manovre e manovrine. Sui giornali vengo attaccato dai redattori dell’Unità dopo che ieri, giovedì 14, sono sceso da loro che stavano sotto Palazzo Chigi per solidarizzare. Certo li capisco ma prendersela con me è un po’ da stronzi.

Ocalan se n’è andato sabato alle 13. Finalmente. I giornali ne parlano poco o nulla. Un piccolo successo del governo è archiviato nel silenzio generale, mentre impazza la polemica nell’Ulivo. Stasera (lunedì 18) vediamo Prodi a cena. L’ha organizzata Gabrielli. Vedremo che succede. Ma il punto è: può D’Alema regnare sullo sfascio del sistema politico? Il risultato è che il buongoverno viene annullato, sepolto sotto le polemiche politiche, e noi non abbiamo che una strada: quella di fare la guerra mediatica. Cercare cioè di seppellire sotto una valanga di informazione di regime il resto. Questo presuppone naturalmente un controllo dei mezzi che non abbiamo, salvo il Tg1 che fa molto.

L’altra strada è cercare uno sbocco alla crisi del sistema, anche perché prima o poi il problema si porrà. Come andremo a votare tra due anni? Con quale blocco, quale alleanza? Va costruita una “teoria politica” del governo D’Alema, più forte di quella attuale (Ulivo+comunisti+Cossiga), che non regge, perché l’Ulivo è di Prodi e Cossiga è indigeribile. E’ questo che determina a sinistra un certo disincanto nei confronti del governo. E non ci consente di capitalizzare i risultati che ci sono, questo è innegabile. Ma quale può essere la teoria? Grazia Volo, moglie di Liguori, incontrata in America e nuovo difensore della Baraldini, sta mandando una lettera a Diliberto. Le ho detto che il 5 marzo, quando D’Alema vedrà Clinton, vogliamo realizzare l’obiettivo di riportarcela in Italia. Lavoreremo intensamente per questo.

(3. continua)