Votare è la massima espressione della democrazia? Forse, ma sicuramente presenta aspetti paradossali. Già Hegel parlava dell’“indifferenza dell’elettore”. Considerando il numero totale di elettori, il peso di un singolo voto è microscopico. Quando un cittadino diventa consapevole della sua “irrilevanza”, prende le distanze dal voto e diventa “indifferente”.

Il primo a parlare di “paradosso del voto” è stato Anthony Downs: il desiderio dei “cittadini razionali” di una democrazia efficiente basata sul voto informato si scontra con la consapevolezza che essere informati e votare richiede uno sforzo senza benefici individuali significativi. Pur volendo una democrazia funzionante, è irrazionale per un individuo informarsi e votare poiché il singolo voto ha un impatto trascurabile.

Già, perché partecipare alla vita politica richiede motivazione. Tuttavia, per la politologa Diana Mutz dell’Università della Pennsylvania i cittadini motivati al voto sono di due tipi: deliberativi e partecipativi. I deliberativi assistono a discussioni politiche significative, considerano opinioni contrarie e si formano preferenze politiche con attenzione. Sono l’“elettorato fluido”. Invece, i partecipativi hanno idee già formate e raramente cambiano opinione con nuove informazioni, evitano discussioni trasversali e preferendo interagire con chi condivide le loro opinioni. Vivono nella loro “bolla”.

Testa o pancia

Mutz ritiene che il voto spesso abbia a che fare più con la “pancia” dell’elettore che con la “testa”. Per esempio, ha sostenuto che le difficoltà economiche non abbiano spinto molte persone a votare per Donald Trump nel 2016, come credono molti analisti. Secondo lei, Trump ha vinto perché gli “americani dell’élite” – bianchi, cristiani e uomini – temevano di perdere il loro status privilegiato a favore delle minoranze se si fosse dato a questi (come sosteneva la sua avversaria) la possibilità di avere successo nella società.

La divisione

Il corpo elettorale sembra diviso tra chi vive nella propria bolla, chi ha bisogno di argomentazioni e gli indifferenti.
Facciamo un esercizio di empatia. Immaginiamoci un candidato. Con quelli della bolla ha poco da fare: o sono già dalla sua parte o non li convincerà mai. Con i deliberativi si impiega tempo e il risultato è incerto. Restano gli indifferenti. Cosa fare? Una strada è far percepire un ritorno individuale che superi lo sforzo di cercare la tessera elettorale e andare al seggio (a voi fare degli esempi). Oppure, metterli davanti a una scelta drastica: speranza o terrore, vita o morte, pace o guerra. Non sorprende se Gladys Mondière, presidente degli psicologi francesi, parli di «demo-ansia»: un panico democratico che minaccia la salute delle persone. È il prezzo da pagare per portare i cittadini razionali a votare per il male minore. Forse, a queste condizioni, Libertà è anche Non Partecipazione.

Andrea Laudadio

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