Molti matematici e i fisici sono concordi nel considerare la formula della relatività ristretta di Einstein come la formula matematica più bella ed elegante che sia mai stata concepita, perché oltre ad avere implicazioni rivoluzionarie è anche semplice, lineare. In una parola, è elegante: E=m x c². L’energia è data dalla massa di un corpo moltiplicata per la velocità elevata al quadrato. Alla base di questa formula apparentemente semplice, c’è un dibattito fisico, matematico e filosofico lungo e complesso. I fisici erano già d’accordo da tempo che la luce fosse l’elemento più veloce in natura, ma da cosa era fatta e come viaggiava nello spazio? Nella teoria classica di Newton era composta da particelle, ma già intorno alla metà dell’Ottocento Young e Maxwell avevano teorizzato e dimostrato che in realtà si muovesse come un’onda.

Per molto tempo si ipotizzò che le onde si propagassero percorrendo una sostanza presente nello spazio e definita etere, ma due fisici, Michelson e Morley, diedero vita ad una serie di esperimenti, con l’intenzione di dimostrare l’esistenza dell’etere. Il presupposto teorico era questo: poiché la terra viaggia intorno al sole ad una velocità di 30.000 metri al secondo, avrebbe dovuto lasciare nell’etere una scia misurabile. La conclusione, però, fu sorprendente: dell’etere non vi era traccia, non esisteva. A spiegare tutto, con una semplicità straordinaria, fu la teoria della relatività ristretta esposta al mondo nel 1905 da Albert Einstein. La sua teoria si basava su due postulati fondamentali: il principio di relatività, secondo il quale le leggi della fisica sono uguali per tutti gli osservatori inerziali. Il secondo postulato è quello della costanza della velocità della luce, che significa che la velocità della luce nel vuoto è costante indipendentemente dal movimento dell’osservatore.

Questi due princìpi hanno straordinarie conseguenze. La prima è la dilatazione del tempo, che scorre in modo diverso per osservatori che si muovono a velocità diverse. Un osservatore che viaggia molto velocemente, ipotizziamo ad una velocità quasi prossima a quella della luce, percepirà il tempo in maniera molto più rapida da un osservatore che si trova fermo in uno stato di quiete. L’altra conseguenza è quello della contrazione dello spazio, ed afferma che gli oggetti in movimento appaiono più corti lungo la direzione del loro moto rispetto a quando sono fermi. Con la teoria di Einstein due concetti che sembravano acquisiti come dogmi, come quello di velocità assoluta e simultaneità assoluta, perdono completamente senso e significato. Il tempo e lo spazio diventano relativi. Dieci anni dopo Einstein estese a tutto il mondo fisico questa sua intuizione rivoluzionaria elaborando la teoria della relatività generale.

Torniamo alla formula della relatività. È semplice, lineare, elegante eppure densa di contenuti. Così sono stati i discorsi alla Convention democratica di Michelle Barack Obama e soprattutto di Kamala Harris. Michelle Obama ha fatto un discorso veloce, pratico, essenziale.  Ha parlato dell’opportunità che deve essere concessa a ogni cittadino di immaginare una vita migliore, di vedere riconosciuta la propria libertà e i propri diritti, indipendentemente dalla religione che professa, dal suo orientamento sessuale, dalla sua condizione sociale di partenza, dalla sua provenienza etnica. Lo ha detto con efficacia e una semplicità sconosciuta all’ampollosità barocca di noi italiani, e soprattutto con il suo slogan così banale e riuscito – do something, fai qualcosa – ha invitato ogni cittadino americano alla cittadinanza attiva, al protagonismo. Meno incisivo, ma magistralmente interpretato, il discorso di Barack. Poche parole per richiamare l’utilità sociale anche dei più umili e la speranza di una vita migliore per tutti.

Una formula breve come quella della relatività, ricca di senso soprattutto nel tono della voce, nelle espressioni del viso, nella postura elegante e nella allusiva formula finale: yes she can. Che recitata come lo ha fatto lui sembrava dire anche lei ce la può fare, non proprio come me, ma quasi. Da premio Oscar alla carriera. Infine il discorso di Kamala. Vigoroso, vibrante, teso a delineare un’America che continua e consolida il successo dell’economia interna e che si riappropria di un ruolo che le compete: ergersi a guardia e difesa della democrazia e della libertà ovunque nel mondo. E la stoccata finale a Trump letale: un uomo inutile che può fare danni profondi. Questi tre discorsi ci parlano di una politica che evita le pericolose e impervie vie dell’ideologia, che si relativizza per parlare a tutti e indicare l’unica strada percorribile: quello di un riformismo pragmatico, che guarda le contraddizioni del mondo negli occhi e punta al miglior risultato possibile. Una formula semplice, lineare, per questo forse rivoluzionaria.