"Ci ha sempre detto che qualunque obiettivo è raggiungibile"
Il discorso di Sofia Napolitano: “Nonno Giorgio ci chiamava per i cartoni animati, l’uscita da scuola e il gelato a Villa Borghese”
“Giorgio Napolitano era un nonno formidabile e attento, anche quando eravamo piccoli ci chiamava quando gli sembrava che ci fossero in televisione cartoni animati che ci sarebbero piaciuti”. E’ il ricordo di Sofia May Napolitano, la nipote 26enne del presidente emerito Giorgio Napolitano, scomparso venerdì 22 settembre all’età di 98 anni. Il suo discorso, nel corso dei funerali di Stato laici a Montecitorio, è stato genuino ed emozionante. “Ha sempre trovato il tempo di venirci a prendere a scuola per portarci a mangiare un gelato a Villa Borghese” ha spiegato Sofia, figlia del primogenito (Giovanni) di Giorgio Napolitano.
“Era un leader, un politico e un uomo formidabile premuroso, pieno di attenzioni. Era sempre presente per noi, ascoltava i nostri problemi in modo partecipe e comprensivo nonostante fosse già occupato con i problemi del Paese” sottolinea Sofia nella lettura della lettera dedicata al nonno. “Ci ha sempre detto che qualunque obiettivo è raggiungibile, si ricordava tutto ciò che gli dicevamo e ci ha fatto sentire di poter confidare in lui ogni volta che ne avevamo bisogno. Ci ha insegnato come fosse importante trattare chiunque con rispetto e cortesia, a prescindere dalle differenze di opinioni e di posizioni, ci ha insegnato quanto siano importanti la famiglia e le amicizie”, continua.
“Ci ha insegnato quanto sia importante amare quello che si fa e combattere per i propri ideali, senza curarsi degli ostacoli o delle complicazioni da superare. Sarà sempre la persona che ammiriamo di più: spero che voi tutti possiate ricordarlo con lo stesso affetto e con la stessa ammirazione che abbiamo per lui. Ci ha presentato a grandi personalità, tra queste la Regina Elisabetta a cui era particolarmente legato. Ci ha portato a Stromboli e a Capri, luoghi a lui cari. Siamo sempre rimasti colpiti da quanto fosse ammirato e apprezzato ovunque nel mondo e ci siamo sempre sentiti orgogliosi di essere suoi nipoti”. Un discorso, quello del Napolitano più intimo e familiare, che è stato salutato con un lungo applauso.
⚫️L’addio al presidente emerito Giorgio #Napolitano, i funerali di Stato a Roma, a Montecitorio. Il ricordo commosso del figlio Giulio e della nipote Sofia. @TgrRaiLazio #IoSeguoTgr #26settembre pic.twitter.com/eqq8Ws1wky
— Tgr Rai (@TgrRai) September 26, 2023
Prima di Sofia, a parlare è stato il secondogenito del presidente Napolitano, il figlio Giulio: “A nome della nostra Famiglia, Vi ringrazio per la Vostra presenza e vicinanza oggi e tra le migliaia di persone che abbiamo salutato alla camera ardente al Senato nei giorni scorsi. Viviamo questo momento in spirito di unità e condivisione. Un deferente ringraziamento a Papa Francesco, per le parole e i gesti che ci hanno emozionato. Non ricordo, nella lunga e straordinaria vita di mio padre, un solo giorno che non sia stato di lavoro. Il suo lavoro – e il senso profondo della sua esistenza – era la politica, intesa come ideale, missione e professione. La politica era per lui, come per molti di quella eccezionale generazione, una cosa seria. Richiedeva analisi, ascolto, discussione, decisione, assunzione di responsabilità. Non sopportava la demagogia, lo spirito di fazione, la riduzione del confronto politico a urlo e invettiva. La politica era inscindibile dalla vita privata e familiare, era il nostro orizzonte quotidiano. La tensione verso la dimensione collettiva non gli impediva di essere un marito, un padre e un nonno affettuosissimo, attento ai nostri bisogni, gioie e preoccupazioni, e di seguire i nostri studi e iniziative nei campi più vari. Ci ripeteva quanto fossero importanti il senso della famiglia, gli affetti, l’amicizia e l’allegria”.
“Amava la musica classica, l’arte, il cinema, il teatro e la letteratura (cito qui solo il debito intellettuale verso Thomas Mann) e cercava di trasmettercene la passione, ma senza forzarci; al tempo stesso, era pronto a seguire gli interessi di noi ragazzi, anche i più lontani. Si trattava di una visione della vita profondamente condivisa con mia madre nel loro rapporto indissolubile, capace di andare oltre le diversità di carattere e temperamento e di offrire una guida sicura a noi figli e poi agli amatissimi nipoti, nella continua presenza emotiva anche nei momenti di distanza fisica. In un disegno in prima elementare nell’ormai lontano 1976, lo ritrassi, accompagnato dalla scritta orgogliosa «mio papà fa il deputato al Parlamento», seduto davanti alla scrivania con una penna in mano. Per cinquant’anni, l’ho visto in quella posizione migliaia di volte, a leggere libri e saggi, studiare documenti e rapporti, scrivere appunti, lettere e discorsi, anche quando era Presidente della Repubblica, nonostante l’agenda sempre più fitta e il peso crescente dell’età. Per mio padre, tuttavia, la politica non era solo un’attività intellettuale. Era scelta etica e motivazione morale, partecipazione fisica e affettiva: insieme alle persone, ai lavoratori, ai cittadini, nelle campagne e nelle fabbriche, nei centri di studio e di cultura, nelle assemblee popolari e nelle piazze d’Italia (a cominciare da quelle della sua amata Napoli), nelle sezioni e feste di partito come nelle aule parlamentari, negli uffici ministeriali e in quelle istituzionali, giorno dopo giorno, senza mai risparmiarsi”.
“L’ho seguito da bambino, poi da ragazzo e quindi da adulto infinite volte: anche in questo Palazzo, di cui mi ha insegnato sin da quando ero piccolo il profondo valore simbolico di luogo rappresentativo della volontà popolare. Ogni volta ammiravo la dignità del suo portamento, la naturale eleganza dei movimenti, l’apertura del sorriso a chiunque gli si avvicinasse, con curiosità e modestia. E ascoltavo la sua voce calda e vibrante; la lingua ricca, d’altri tempi, quasi ammaliante; il tono severo, ma non di rado stemperato dall’ironia. Credeva nella lotta politica, nella partecipazione democratica, nel confronto tra idee diverse, nella ricerca di soluzioni per migliorare le condizioni di vita dei cittadini e dei lavoratori, ridurre le diseguaglianze, favorire lo sviluppo del Mezzogiorno. In questo impegno politico, come scrisse a conclusione della sua autobiografia del 2005, «ho combattuto buone battaglie e sostenuto cause sbagliate, e cercato via via di correggere errori, di esplorare strade nuove». Tra queste nuovi percorsi, vi furono le «straordinarie» prove della partecipazione a quell’«appassionante crogiuolo che è il Parlamento europeo», al servizio del progetto dell’integrazione e dell’unità europea. Da Presidente della Repubblica, ha sentito intensamente «la ricchezza [della] vicinanza al popolo italiano». Ha sempre guardato alla «grande, vitale risorsa della Costituzione», osservando che «non c’è terreno comune migliore di quello di un autentico, profondo, operante patriottismo costituzionale»” “E tra le giornate più felici da Capo dello Stato – ne sono testimone insieme alla mia Famiglia e ai suoi più stretti collaboratori – vi furono quelle della celebrazione – «con orgoglio e fiducia, pur nella coscienza critica dei tanti problemi rimasti irrisolti e delle nuove sfide con cui fare i conti» – del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, circondato dal calore e dall’attiva partecipazione popolare nei luoghi del Risorgimento lungo l’intera penisola. Tutti in quel momento si riconobbero in ciò che di più alto e fondamentale ci unisce. Per il bene dell’Italia e del suo ruolo in Europa e nel mondo, ha sempre sperato e agito per il rinnovamento della politica e delle istituzioni. E ha accettato, con spirito di sacrificio e senso del dovere, il prolungamento estremo delle sue più alte responsabilità prima di riassumere, fin quando ha potuto, le vesti di senatore con scrupolo e rigore, mostrando sino alla fine che cos’è la nobiltà della politica e del servizio alla Repubblica. Lo abbiamo sentito e gli siamo stati vicini con amore sino all’ultimo. Ne preserveremo e ne coltiveremo il ricordo. Ancora grazie a tutti Voi”.
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