Grazie al film di Walter Salles, “Io sono ancora qui“, che ha vinto l’Oscar come miglior film straniero, è tornata un po’ di attenzione sul tremendo regime che ha dominato il Brasile per un ventennio. Questo “La sedia del drago – Violenza, tortura e morte nel Brasile dei generali” (Lindau), che uscirà il 28 marzo, è stato scritto da Christiano Sacha Fornaciari, architetto italiano nato in quel Paese nel 1962, che per alcuni anni da bambino e ragazzo ha vissuto la cupa atmosfera di quella dittatura.

Scritto con il rigore di un saggio storico e il ritmo incalzante di un romanzo, “La sedia del drago” racconta un Brasile poco noto e molto distante dallo stereotipo turistico, ed è una lettura inevitabilmente dura, accompagnata da fonti testimoniali, documenti desecretati e ricordi personali su quegli anni drammatici del grande Paese del Sud America di cui, almeno in Italia, si sa e si è scritto molto poco. Eppure la dittatura brasiliana è stata davvero spietata.

In un passaggio, l’autore sintetizza: «Il regime militare brasiliano attraverserà tra il 1964 e il 1985 almeno tre fasi distinte. Una prima fase di assestamento che va dal 1964 al 1968, anno in cui inizia il periodo dei cosiddetti “Anos de chumbo” (Anni di piombo), durante i quali l’articolazione e la violenza dell’apparato repressivo di Stato raggiungono il massimo grado. La terza fase si apre nel 1974 con l’insediamento alla presidenza del generale Ernesto Geisel che, attraverso un cauto processo di distensione, riporterà lentamente il Paese alla democrazia; paradossalmente, i primi anni del governo Geisel sono però quelli in cui l’assassinio e l’occultamento dei corpi degli oppositori al regime divengono pratica corrente». Al centro di tutto c’è l’ignobile macchina della tortura. La prefazione è di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, che ha il patrocinio sull’opera.