Il caso
Il dramma di Giuseppe, malato di tumore ma per la magistratura deve restare in carcere
Sulle spalle ha una condanna a sette anni di reclusione per il reato di estorsione. Ma ha anche il fatto di aver scontato la condanna quasi interamente agli arresti domiciliari, essendosi dissociato e non avendo mai violato le prescrizioni imposte dalla misura alternativa. Ora la sua storia è finita al centro di una denuncia presentata alla Procura di Napoli. L’ha scritta di suo pugno Giuseppe Loffredo, 56 anni, napoletano e da sette mesi recluso nel carcere di Secondigliano e con ancora sette mesi da espiare per chiudere il proprio conto con la giustizia. Si ritiene vittima della burocrazia giudiziaria che gli impedisce, solo perché la condanna è divenuta definitiva e c’è di mezzo un reato ostativo, di poter terminare di espiare la pena agli arresti domiciliari e vittima di quella burocrazia che impone una serie di passaggi, spesso lunghi e talvolta farraginosi, per avere in carcere i farmaci che gli servono per resistere a una grave forma di tumore del sangue che lo ha già costretto su una sedia a rotelle.
«Temo per la salute di mio padre – racconta la figlia Sabrina – È entrato in carcere con le proprie gambe, ora è su una sedia a rotelle. Purtroppo la sua è una malattia da cui non si guarisce e in carcere vedo che sta peggiorando. Non chiedo che venga scarcerato, ma che almeno possa avere di nuovo gli arresti domiciliari». Ad accrescere le preoccupazioni dei familiari di Loffredo c’è anche la denuncia che lo stesso detenuto ha scritto alla Procura di Napoli il 17 dicembre scorso: «Sono malato di mieloma multiplo e ho bisogno di un farmaco che mi deve essere somministrato quotidianamente senza interrompere la somministrazione, cosa che invece è capitata più volte come si evince dalla cartella clinica», ha scritto il detenuto nella denuncia in cui ha segnalato uno stop alla terapia causato da un ritardo dell’arrivo del farmaco nel carcere di Secondigliano in cui è detenuto. «Ciò non tutela il mio diritto alla salute – ha aggiunto Loffredo – distruggendomi anche psicologicamente in quanto ho paura che, senza la chemioterapia di mantenimento, questo male incurabile mi possa sopraffare in breve tempo».
In questi mesi i giudici della Sorveglianza hanno sempre respinto le istanze presentate dagli avvocati di Loffredo, negando il differimento dell’esecuzione della pena sulla base del fatto che in carcere il detenuto poteva ricevere il farmaco per la chemioterapia. Gli avvocati Domenico Dello Iacono e Angelo Ferraro avevano sottoposto ai giudici le difficili condizioni del detenuto dovute anche alla pandemia, evidenziando come, per un soggetto rinchiuso in carcere, la necessità di evitare luoghi affollati, prescritta dai medici, sia impossibile da ottenere, ed evidenziando anche la «sofferenza aggiuntiva» vissuta da Loffredo per la condizione di autoisolamento cui è costretto per proteggersi dal Covid, considerato che a Secondigliano ci sono stati e ci sono detenuti positivi.
Del caso di Loffredo si è occupato anche il garante regionale Samuele Ciambriello evidenziando due aspetti sollevati da questa storia: uno riguarda il tema dei reati ostativi, l’altro le lungaggini burocratiche che indicono sulla tutela di diritti fondamentali come quello alla salute. «Chi ha sbagliato paghi la sua pena, ma non a prezzo della vita – commenta Ciambriello – Chi è detenuto ha diritto alla tutela della propria vita anche se il reato è ostativo. Perché questa del reato ostativo è una clausola ipocrita, ingiusta e costituzionalmente illegittima».
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