Ciclicamente, soprattutto quando l’Unione si trova davanti a decisioni epocali, ritorna puntuale «il fantasma» del voto all’unanimità in Consiglio europeo. È opportuno ricordare come questa, oltre ad essere una ricorrente causa di polemiche, è in realtà quasi una pregiudiziale, relativa alla Costituzione, nella storia dell’Ue. Sin dall’inizio, infatti, l’unanimità è stata la condizione, formulata dai Paesi più piccoli, per entrare nell’Unione, sicuri così di non poter essere scavalcati da maggioranze nei confronti delle quali il loro voto sarebbe risultato irrilevante. Basti pensare a Belgio, Olanda e Lussemburgo fin dalla fondazione e ai Paesi dell’ex blocco sovietico nel grande allargamento del 2004, per non parlare di Cipro e Malta.

I settori Ue subordinati all’unanimità

Convertita dunque da “sciagura” a “mamma putativa” dell’Unione, studiarne l’eventuale eutanasia diventa più complesso e traumatico, anche in vista di nuovi allargamenti. Innanzitutto bisogna chiarire che questa è oramai necessaria per un numero limitato di materie. Infatti, rispetto alle iniziali regole di ingaggio del 1957, l’Atto unico europeo firmato a Roma nel 1986 ha dato nuovo slancio all’Unione, riducendo i settori nei quali è necessaria l’unanimità per adottare una legislazione e in seguito, nel 2009, la tendenza è stata confermata dal Trattato di Lisbona. Oggi restano subordinati all’unanimità alcuni settori considerati strategici e particolarmente sensibili: l’imposizione fiscale e finanze Ue; sicurezza sociale e protezione sociale; adesione di nuovi membri nell’Unione; politica estera e di sicurezza comune e politica di Difesa (salvo alcuni casi); cooperazione di polizia tra Stati membri; cittadinanza Ue. Sono poi possibili alcune complesse procedure di «aggiramento» denominate «passerelle», che però non aiutano a superare l’impasse, in quanto esse stesse, in momenti diversi, prevedono l’unanimità.

Le recenti decisioni relative alla Russia sono state adottate secondo il cosiddetto «Metodo Costa» delle conclusioni condivise a 26. La soluzione, individuata dall’esperto presidente del Consiglio europeo, si è però limitata alla fase precedente rispetto a quella della conferma delle sanzioni. Successivamente, per procedere materialmente, si è dovuto attendere il voto ungherese, subordinato – come noto – ad alcune rilevanti concessioni. Non è apparsa peraltro percorribile la strada evocata, relativa all’applicazione dell’art. 7 del Trattato dell’Unione. Il «congelamento» del voto di un singolo Stato è infatti una procedura estremamente lunga e complessa, e richiede inoltre gravissime violazioni a carico dello Stato «congelato» che – ad oggi – non appaiono riscontrabili. Inoltre inaugurare una tale procedura con il solo scopo di aggirare il principio dell’unanimità appare piuttosto pericoloso e finirebbe per costituire un precedente, senza risolvere realmente il problema.

Oggi la sensazione prevalente è che, al netto dei proclami e della coraggiosa e storica battaglia dei federalisti europei, i governi nazionali siano pronti a eliminare l’unanimità solo se questa non riguardi il proprio Stato. Volendo dunque procedere, la strada obbligata resta quella ripida e tortuosa relativa alla modifica dei trattati.

Francesco Tufarelli

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