Oggi si svolge a Firenze una manifestazione antifascista. È stata convocata per protestare contro l’aggressione subita dagli studenti del liceo Michelangelo da parte di una pattuglia di estrema destra, e contro il silenzio del governo di centrodestra su questo episodio. È giusto protestare. Anche se il liceo Michelangelo non credo sia il cuore del problema-Italia.

Io resto dell’idea che se vogliamo fare delle battaglie antifasciste serie, dobbiamo occuparci del fascismo moderno. Che poi ognuno può chiamarlo come vuole ma è un fenomeno reazionario vero, non solo italiano, che rischia di rimandare indietro di molti anni il livello alto di civiltà che l’Europa aveva conquistato in questi anni. Per me l’antifascismo non è un’etichetta. Una bandiera. Un richiamo alla tradizione e all’eroismo dei partigiani. Non è la canzone Bella Ciao o Fischia il vento. Non è un rito. È più radicalmente – molto più radicalmente – una battaglia per la libertà, contro la repressione, contro il giustizialismo, l’ultralegalitarismo, la xenofobia, il razzismo, il nazionalismo, l’autoritarismo. Per me antifascismo vuol dire opporsi ai respingimenti dei profughi, difendere l’articolo 10 della Costituzione, protestare per la detenzione (in assenza di reati) di Dell’Utri o di Contrada e per il carcere duro illegalmente inflitto ad Alfredo Cospito.

È difendere la comandante Carola Rakete, e anche Berlusconi processato ingiustamente, è trovare casa e lavoro ai migranti, denunciare la follia della violazione dell’articolo 11 della Costituzione e del coinvolgimento dell’Italia nella guerra in Ucraina, ed è anche indignarsi per i fenomeni di Torquemadismo in corso in Belgio ai danni di alcuni parlamentari europei. Mi riferisco in particolare alla situazione della deputata europea di nazionalità greca Eva Kaili, che è stata catturata e messa in cella tre mesi fa con l’accusa di essersi fatta corrompere dal governo del Qatar, o forse da quello del Marocco, ma contro la quale, a quanto sembra, non si trovano le prove. La Procura belga ha deciso di usare il carcere come mezzo di indagine. Come si faceva fino al 700.

Lo ha già fatto con il compagno della Kaili, Francesco Giorgi, e con Antonio Panzeri. Loro hanno accettato il gioco, pare, hanno confessato, hanno lanciato qualche accusa contro un paio di parlamentari, seppure senza offrire riscontri, hanno detto quello che i magistrati volevano che dicessero, e in cambio hanno ottenuto uno la liberazione, l’altro un formidabile sconto di pena e la scarcerazione di moglie e figlia. Eva Kaili invece non ha accettato di confessare, si dichiara innocente e fa infuriare gli inquirenti. Che l’hanno arrestata illegalmente, perché lei era protetta dall’immunità parlamentare – inventandosi una inesistente flagranza di reato – l’hanno anche torturata, tenendola 48 ore al gelo e senz’acqua (dopo avergli sequestrato anche il cappotto) in una cella di isolamento con le luci sparate per non farla dormire, e le hanno fatto capire che o parla o resta al gabbio.

Ieri il giudice ha respinto una sua richiesta di liberazione e ha decretato che starà in cella almeno altri due mesi. Cioè che per ora è stata condannata a cinque mesi di prigione senza processo. Poi, se non parla, altri mesi. Sebbene non esistano le condizioni per la carcerazione preventiva (non può scappare, non può reiterare, non può inquinare le prove) e sebbene la Kaili sia madre di una bambinetta di due anni che non vedrà la mamma per almeno cinque mesi (nemmeno nel giorno del suo secondo compleanno), che sono i mesi più importanti della vita di un bambino per i rapporti con la mamma. Chiamatelo medioevo, chiamatelo fascismo, se per fascismo intendete il modello più noto dei regimi autoritari europei, chiamatela pura sopraffazione dello Stato. Di certo è una violazione pazzesca del diritto e una sfida alla politica e alla democrazia. La politica però non reagisce. Si inchina a Torquemada. La stampa non ha neanche bisogno di inchinarsi perché è già prona.

Mi piacerebbe se la manifestazione di Firenze si occupasse anche di questo. E si schierasse a difesa della deputata greca. E poi, soprattutto, mi piacerebbe se si occupasse di Cutro e protestasse per la politica della non-accoglienza (che certo però non può essere addossata solo al governo attuale) che sei giorni fa ha provocato una vera e propria strage di profughi. Avvenimento che a me pare, per la sua gravità, schiacci tutte le altre polemiche. È impossibile spiegarsi come mai i ministri che avevano la responsabilità dei salvataggi non siano stati ancora allontanati. Elly Schlein ha chiesto l’altro giorno le loro dimissioni. Ha fatto benissimo. È un ottimo esordio. Mi auguro che non demorda. Sennò l’antifascismo diventa pura cerimonia.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.