Editoriali
Il Fatto Quotidiano: Woodcock e Maresca non si criticano!

C’è una sola cosa che Il Fatto non passerà mai sotto silenzio: una critica al Pm John Woodcock. Non la ammette, si indigna, soffre: e scatta comunque e immediatamente a sua difesa.
Non so perché: qualche motivo ci sarà….
L’altro giorno, seppure tra le righe, avevamo effettivamente polemizzato con il Pm napoletano. Facendo notare che un paio di gigantesche inchieste, che poco più di un lustro fa avevano occupato per giorni le prime pagine dei giornali ed erano state descritte (dagli autori delle inchieste) come la scoperta di “uno dei più grandi episodi corruttivi della storia italiana”, si sono concluse con un gigantesco flop. Flop registrato dai giornali nel più assoluto e devoto silenzio. Devoto ai Pm, dico.
I due Pm erano Woodcock e Catello Maresca. L’inchiesta era quella su Cpl Concordia. Le accuse andavano da corruzione ad associazione mafiosa. Tutti i corrotti sono stati assolti con formula piena, tutte le accuse di mafia sono cadute, resta – in primo grado – una condanna al corruttore che però, secondo la giustizia italiana, avrebbe bensì corrotto, ma avrebbe corrotto nessuno. In Italia questo può succedere. Chi hai corrotto? Nessuno. Ti condanno per aver corrotto nessuno.
Il Fatto Quotidiano l’altro giorno ha pubblicato un articolo, firmato da Vincenzo Iurillo, di polemica con il Riformista; ci accusa di avere “un nobile scopo: quello di screditare i Pm e i carabinieri”.
Beh, un paio di cose vanno chiarite. Proviamo. I giornali, di solito, si danno tre missioni. La prima è informare. La seconda è fornire idee e aprire discussioni. La terza, e la più importante, è criticare il potere. I Poteri. I poteri in una società moderna sono svariati. I più potenti sono il potere politico, il potere economico e quello della magistratura. Cioè il potere giudiziario. Negli ultimi 25 anni – per sue abilità e per debolezza degli altri – il potere della magistratura ha di gran lunga sopravanzato e sottomesso gli altri due. Bene: criticare la magistratura è – sarebbe: sarebbe – uno dei compiti dei giornali. Tenerla d’occhio, stare attenti a che non abusi delle sue competenze, che sia corretta, o anche, semplicemente che non sbagli. Eventualmente correndo il rischio di inimicarsela e di trovarsi sommersi da avvisi di garanzia. È un rischio del mestiere, per i giornalisti.
Se un magistrato, per esempio, balza agli onori delle cronache per aver scoperto una clamorosa corruzione, e arresta gente di qua e di là, e poi si scopre che non ci furono corrotti, e gli imputati vengono scarcerati, e le loro aziende, però, nel frattempo, hanno subito danni gravissimi che nessuno risarcirà, sarebbe – sarebbe… – carino scrivere sui giornali: “Clamoroso! Non c’erano corrotti”. Invece, silenzio. E addirittura, se poi qualcuno si accorge dell’enormità avvenuta, e lo scrive sul suo giornale, apriti cielo. E si grida: vogliono screditare la magistratura! A me pare che si sia screditata da sola.
Pensa, Iurillo, a quei poveretti che sono finiti nella gogna, in questi giorni, per quei miseri (e legalissimi) 600 euro di bonus. Tutti i giornali a tirargli contro, a partire dal Fatto. Loro potrebbero dire, copiandoti: “Ecco, i giornali hanno il nobile scopo di screditare la politica!”. Pensa ai titoli del tuo giornale su Berlusconi, o su Renzi, o su Salvini (e una volta anche su Zingaretti): leggendoli, si dovrebbe gridare: vogliono screditare, vogliono screditare!
Molto buffo, no? Eppure è così. L’idea è chiara. I poteri sono vari e sono putridi. Tranne due, che invece sono sacri: quello di Casaleggio e questo dei magistrati. Il tuo giornale, quando scrive di Salvini, lo definisce “il cazzaro”, se si riferisce a Renzi scrive “il bomba” o “l’innominabile”. Berlusconi è il “pregiudicato”. Questo abitualmente. Hai mai letto, sul Riformista, di un magistrato definito “il cazzaro”? Bisognerà prima o poi imparare a distinguere tra critiche e insolenze.
La seconda cosetta che volevo dirti riguarda i processi frazionati. Sta diventando un’abitudine per alcuni magistrati. Invece di fare un processo unico, nel quale testimoni, accusati, accusatori, vengono messi a confronto e si trova una sintesi e una verità unica, il processo si fraziona. Ogni accusato processato per conto suo. E così le verità diventano tante. Autonome. E non soffrono del principio di contraddizione. Per esempio – come spieghi anche tu nel tuo articolo – è ammesso condannare il signor X per avere corrotto il signor Y e poi assolvere il signor Y perché mai nessuno lo ha corrotto. Ne soffre la logica, ma la giustizia avanza. Pare che il nostro comune amico Woodcock sia specialista in questa tecnica. È suo diritto usarla, perché l’accusa è l’accusa: magari però qualcuno dovrebbe fermarlo. La tecnica del frazionamento del processo risponde a una logica molto chiara, e conosciuta (l’ha denunciata tante volte anche un ex Pm di ferro come Antonio Di Pietro): non si cerca il reato, non si indaga sul reato, si cerca un possibile imputato e su di lui si lavora. Quindi non interessa un processo sul reato, interessa un processo – da far durare più tempo possibile – che isoli l’imputato, riduca i suoi strumenti di difesa, e lo frigga a fuoco lento.
Infine c’è la questione della mafia. Tu hai scritto esattamente così (riferendoti al dottor Casari): “Che è stato, sì, assolto definitivamente in un altro processo nel quale la metanizzazione del casertano era accompagnata dal sospetto del Pm Maresca di avere favorito il clan dei casalesi. Ma pure qui, dire che non ci fu mafia è una forzatura: sono stati condannati imprenditori garanti di un accordo con il clan. Al quale però Casari era estraneo“. Preciso meglio. Casari fu accusato non di aver favorito un clan, fu accusato di associazione mafiosa. Ed è stato assolto. Capisci, no, la parola assolto? A me non era mai capitato, ma proprio mai, di leggere in un articolo una cosa del genere: sì, magari lui non sarà mafioso, ma qualche mafioso in giro c’è sempre…
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