La cosa più facile è sedersi sugli spalti con il popcorn, e sogghignare. Lo spettacolo offerto da Beppe Grillo e Giuseppe Conte sembra una parodia del Bagaglino. Da una parte, nel ruolo del “Garante”, un anziano uomo di teatro aggrappato al suo diritto di veto e di morte sul Movimento, che a sua volta comprende un bell’assegno da 300mila euro all’anno a spese dei contribuenti. Gli stessi contribuenti che lui doveva garantire dagli abusi della casta. Dall’altra, nel ruolo del “Caudillo”, un ex avvocato e premier per caso, che ha preso gusto a togliersi la cravatta per guidare le masse, e in tribunale ci vuol tornare solo per far fuori il Garante. E la tanto conclamata democrazia diretta? E la trasparenza della mitologica piattaforma Rousseau? Non pervenute. Volatilizzate. Oggi le armi della battaglia sono altre, e cioè interpretazioni più o meno fantasiose dello statuto. Ognuno usa i suoi argomenti da azzeccagarbugli per intimare all’altro di sloggiare.

I titoli di coda di una contesa così personalistica

La cosa più facile, oggi, è veder scorrere i titoli di coda, o meglio gli slogan populisti polverizzati in una contesa così personalistica che al confronto un congresso della Dc era una festa di popolo. Ah, i tempi d’oro del Vaffanculo Day, quel grido liberatorio che oggi Beppe e Giuseppe rispolverano solo per rivolgerselo a vicenda! E quel motto, “uno vale uno”, che giustificava la scelta di infilare nelle istituzioni i personaggi più disparati e bizzarri? E quel Parlamento da aprire come una scatola di tonno in nome dell’onestà, proclamata al balcone da un ispiratissimo Luigi Di Maio, mentre prometteva l’impeachment al presidente Mattarella? Tutto in archivio.

Beppe, Giuseppi e la pietra filosofale: spendere, spendere e poi spendere

Insieme ad un’altra irripetibile stagione, l’uno-due da destra a sinistra di Giuseppe, che mentre vegliava sull’Italia stringeva importanti amicizie internazionali: i cinesi, Vladimir Putin e Donald Trump, grazie al quale diventò per tutti “Giuseppi”. Nell’uno-due, i cinquestellati cambiarono sponda ma senza perdere la loro pietra filosofale: spendere, spendere e poi spendere. E, quando si può, bloccare il libero mercato e limitare gli spazi già minimi del garantismo. Ecco quindi, alla rinfusa, le leggi prese pari pari dal libro dei sogni. Dalla flat tax a quota 100, dal reddito di cittadinanza al blocco della Tav, fino al famoso Superbonus di cui ancora paghiamo il salatissimo conto (125 miliardi per ristrutturare il 4 per cento delle abitazioni, ricorda Antonio Polito). Erano tempi in cui la precarietà – proprio come la povertà e l’immigrazione clandestina – si aboliva per decreto: eccoti spuntare dal cappello il “decreto dignità”, che imbrigliava i contratti a termine con il risultato di ridurre le opportunità di lavoro per i giovani. Ed eccoti spuntare anche la riforma della prescrizione: processi a vita, tanto si sa che non esistono innocenti ma solo colpevoli che la fanno franca. Ed erano i tempi in cui si era gialloverdi fino in fondo. Anche nel lasciar fare al ministro-patriota Salvini il blocco dello sbarco dei migranti: tanto, un lustro dopo, alla sbarra ci finirà solo lui. Il Covid fece il resto. Come era bello ristorare tutti con il denaro che non c’era, protetti dal whatever it takes di Mario Draghi! I decreti “Cura Italia”, poi il piatto forte: un Next Generation EU da 230 miliardi.

Dalla museruola alla povertà a Italia Viva

Fine del sogno. Il Matteo Renzi che aveva compiuto il miracolo della conversione del verde in rosso lo disfece in un batter d’ali. Per Giuseppe Conte arrivò il tempo della terza svolta: dal Palazzo alla strada, capopopolo di ogni causa che potesse eccitare gli animi e capitalizzare il malcontento. Perché l’ex premier comprese con grande abilità due cose. La prima era che se il sogno era finito per i capi, nella mitica “base” era ancora vivo e vegeto. La seconda è che a sinistra del Pd c’era una enorme distesa di disagi e di velleità da trasformare in consensi. Tempo di campo largo, insomma. E il partito che voleva mettere la museruola alla povertà, alla corruzione e alla precarietà, oggi si accontenta di metterla a Italia Viva.
La cosa più facile sarebbe farsi due risate. Ma a prevalere è la malinconia. Non si interrompe un’emozione, diceva uno slogan che parlava di cinema. Ma la cosa è più seria. Gli ideali sinceri delle persone non si possono usare come dei tram per la demagogia che prima si fa potere e poi desolante scontro di potere.