I casi Soumahoro e Qatargate
Il garantismo a targhe alterne della destra, vale solo per i ricchi e gli amici
Caro Direttore,
per i partiti e per i giornali di destra è stato un gioco fin troppo facile quello di denunciare la vocazione giustizialista della sinistra in occasione della polemica sul ministro della Giustizia Carlo Nordio e sulle sue intenzioni di ridurre il ricorso alle intercettazioni telefoniche. Fin troppo facile, e posso dirlo a ragion veduta, perché di quella sinistra – ancorché faticosamente – faccio parte. E, dunque, posso affermare che la vocazione giustizialista alberga tuttora nella maggioranza di questa area politica.
Ma non riesco, non riesco proprio, a evitare la replica (un po’ puerile, lo ammetto): e allora voi? Qui, l’abusata parabola della pagliuzza e della trave si impone, e non solo per ripicca: perché, piuttosto, colpevolizzare esclusivamente la sinistra, come si merita, rischia di assolvere la destra italiana. Che è, poi, la più giustizialista d’Europa. Come sempre, bisogna salvaguardare e valorizzare le eccezioni, ma se i garantisti collocati a sinistra possono contarsi sulle dita di due mani, o poco più, quelli collocati a destra (nei media e nel sistema politico) non superano le dita di una. Innumerevoli le conferme. La fallacia di un presunto garantismo di destra rivela impietosamente tutta la sua povertà rispetto a tre regole fondamentali. Uno: il garantismo vale per tutti, amici e nemici, alleati e avversari, sodali e competitori. Due: il garantismo deve essere universalista. Cioè capace di tutelare ricchi e poveri, potenti e deboli, privilegiati e non garantiti. Tre: il garantismo si afferma a prescindere dall’identità di colui al quale va applicato, dunque a prescindere dal curriculum criminale, dalle idee politiche, dall’adesione al sistema democratico, dalla simpatia che suscita o dalla riprovazione che ispira.
Quanto i partiti e i media di destra facciano strame di questi principi, è sotto gli occhi di tutti. Basti notare che, in occasione delle due più recenti vicende giudiziarie “di sinistra” (caso Soumahoro, Qatargate) la destra compattamente, come un sol uomo e un solo vocabolario, come un unico pensiero e un’unica postura, si è scatenata contro il campo avversario, senza la più esile preoccupazione garantista. (Ricordo una sola eccezione: Iuri Maria Prado). E così è andata, inesorabilmente, nel corso degli ultimi trent’anni. D’altra parte, il connotato classista del garantismo della destra è lampante: non vale mai, dico mai, quando diritti e garanzie dovrebbero tutelare gli individui più deboli e in particolare gli stranieri e le persone private della libertà personale. I decreti sicurezza del ministro Salvini hanno fatto scempio di tutte le garanzie, processuali e penali, e hanno contribuito all’introduzione di un “diritto diseguale” per chi non sia titolare della cittadinanza italiana.
L’abolizione di un grado di giudizio per coloro che ricorrono contro il mancato riconoscimento dello stato di rifugiato (introdotta, peraltro, da un governo di centro – sinistra), la pratica dei respingimenti collettivi, le limitazioni al diritto – dovere di soccorso in mare, sono altrettanti strappi inferti al sistema delle garanzie. Infine, mentre una dozzina di anni fa, la difesa della causa di Stefano Cucchi veniva assunta anche da esponenti della destra (da Melania Rizzoli a Flavia Perina), oggi nulla del genere. Non un solo esponente dell’attuale maggioranza ha pronunciato una sola parola sulla vicenda dello sciopero della fame di Alfredo Cospito contro il 41-bis. E appena un paio di anni fa, in occasione della “mattanza” (parole della procura) ai danni dei detenuti di Santa Maria Capua Vetere, i parlamentari di destra che si sono espressi lo hanno fatto per comunicare la propria solidarietà agli aguzzini. In conclusione, mi sembra innegabile che non possa essere la destra a dare lezioni di garantismo alla sinistra. Come non può essere il contrario. E la cosa riguarda anche il cosiddetto Terzo Polo.
Come dimenticare che, al momento della formazione del suo esecutivo, Matteo Renzi, per il Ministero della Giustizia, fece al capo dello Stato il nome di Nicola Gratteri, il più lisergico e spensierato (in senso letterale) dei giustizialisti italiani? E nel corso di quello stesso governo, le preoccupazioni garantiste del premier si adattavano agevolmente alla valutazione delle opportunità. L’intransigenza garantista di Renzi è, ahilui, acquisizione più recente. Quindi, come si vede, il più pulito c’ha la rogna (anche io, e ne ho fatto pubblica ammenda proprio su queste colonne). La conseguenza è una sola: rinfacciare tentazioni manettare all’opposto schieramento non porta da nessuna parte. Fino a che qualcuno non dismetterà per primo le armi e, dunque, non rinuncerà a colpevolizzare un avversario perché avversario, il populismo penale umilierà tutte le nostre migliori intenzioni.
Cordiali saluti.
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