Il Generale Leonardo Tricarico, già capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, è stato Consigliere militare del presidente del Consiglio dal 1999 al 2004. Oggi presiede la Fondazione ICSA, Intelligence Culture and Strategic Analysis.

Siamo davanti a un punto di svolta, nella guerra in Ucraina?

«Siamo di fronte a fatti nuovi, da analizzare senza enfasi e senza allarmismi. Da quando è iniziata la guerra sento richiami all’attenzione per il rischio escalation. Ma l’escalation c’è già, ed è in corso dal primo giorno dell’invasione russa in Ucraina. È in corso dall’inizio. L’innalzamento della tensione è progressivo. Quello che mi preoccupa è che si va avanti tutti – nessuno escluso – senza che nessuno formuli soluzioni per porre fine al conflitto».

Quelle che detta Putin, la resa…

«Sono inaccettabili. Non sono soluzioni. E tutto questo conflitto si sviluppa senza che vi sia una multilateralità, una capacità di risposta politica al conflitto militare. Su questo non vedo iniziative all’altezza della gravità della situazione. Da tutte le parti».

Che cosa immagina?

«Non so, che il G7 e i Brics convochino un summit tra loro, preparandolo a monte e svolgendolo in qualche giorno. Un momento in cui i grandi del mondo si incontrano e si chiariscono, perché il conflitto peggiore è quello combattuto senza sapere perché, fin dove, fin quando si combatte».

Ha in mente una nuova Yalta?

«Un summit mondiale di quel tipo, ma Yalta intervenne a guerra finita. Qui ci vuole un incontro per stabilire le condizioni che portano alla pace. Si deve lavorare a una piattaforma negoziale che superi il diritto di veto che imbavaglia il consiglio di sicurezza Onu. I veti e le unanimità hanno ucciso l’iniziativa diplomatica in Europa come alle Nazioni Unite».

Un paradosso, che lei da Generale, da militare, invochi la politica per far cessare le armi…

«Forse, ma è così. Manca la grande politica. L’Italia ha uno strumento militare di tutto rispetto. Qui assistiamo ai proclami fatti da Germania, Francia e Uk. Chi sono questi paesi? Uno è totalmente imbelle. Un’altra è una media potenza. Il terzo sì, è un soggetto militarmente di primo piano. Mancava l’Italia. È venuto in nostro soccorso Biden, che ha siglato l’appello sul Medio Oriente portando anche la firma italiana. Quando noi invece, per quel poco di deterrenza che possiamo rappresentare, avremmo più da dire di tutti questi paesi».

Perché in fatto di capacità militare saremmo competitivi, quindi deterrenti anche verso il nemico?

«Noi abbiamo delle eccellenze nello strumento militare, al di là delle dimensioni, di inestimabile valore. Sia nel conflitto in Ucraina sia in quello israelo-palestinese. Però non c’è consapevolezza di questo. E nella scena internazionale, nelle dichiarazioni, nel peso negoziale e negli aiuti dal punto di vista tecnico e operativo, finiamo per non giocare nessun ruolo. E questo è assurdo».

In quale campo potremmo aiutare di più?

«Nella difesa aerea, per esempio. Siamo un’eccellenza mondiale riconosciuta da tutti. Vogliono distruggere Israele? E noi che facciamo, aspettiamo la risposta iraniana a braccia conserte, scrutando il cielo? Perché sappiamo che la risposta iraniana arriverà dal cielo. Noi lì potremmo dare un aiuto notevolissimo, anche perché abbiamo mezzi straordinari che potrebbero aiutare quella democrazia a difendersi. Possiamo portare la nostra forza militare ovunque nel globo e contribuire a cambiare le sorti dei conflitti, a vincerli. Invece rinunciamo a dare una mano agli amici, preferiamo commentare stando in disparte il mondo occidentale che viene aggredito da ogni parte».

Lei ha diretto l’Aeronautica, in passato. Siamo ancora la punta di diamante?

«Non se ne parla mai, chissà perché, ma i piloti italiani e i nostri aerei militari oggi sono i più stimati (e temuti) da chi conosce il mondo militare. Siamo appena tornati dall’Australia dove abbiamo fatto un’esercitazione senza precedenti con quattrocento uomini che ha stupito tutti. In Giappone avevamo fatto un’altra esercitazione aerea strabiliante. Negli Stati Uniti le Frecce Tricolori, che non sono una proiezione di forza ma di abilità e di organizzazione logistica incrociata, hanno fatto una spettacolare tournée di due mesi…»

Ho capito, Generale. Siamo capaci potenzialmente di intervenire, ma siamo il paese del panciafichismo…

«Diamo dimostrazione di poter proiettare ovunque nel mondo la nostra capacità militare, e di questo non si parla mai. Siamo una media potenza con trent’anni di esperienza su tutti i fronti caldi del pianeta ed una dotazione all’avanguardia, ma i nostri concittadini, chissà perché, sono stati convinti di vivere in una grande Svizzera. Guardiamo ai conflitti che colpiscono l’Europa o il Mediterraneo come se fossimo davanti a un film che non ci riguarda e non ci riguarderà mai. E questo è un errore clamoroso. Di cui la politica è corresponsabile».

L’avanzata dell’Ucraina in Russia dimostra che i russi sono più deboli di quello che si pensava.

«I russi hanno dimostrato fin dal primo giorno di guerra di avere uno strumento militare scadentissimo. Tutto quello che hanno fatto lo hanno prodotto con una massa di soldati mandati a morire al fronte, con un bilancio a oggi pesantissimo. Una massa di carne da cannone. E con le cannonate, certo, ma sparate a caso, in maniera grossolana, soprattutto contro obiettivi civili. Una macchina militare ferma al secolo scorso. Lo dimostrano ancora una volta in questa circostanza».

Sarà un dettaglio, forse, ma l’ultimo missile termobarico usato da Putin lo ha avuto dalla Corea del Nord…

«Sì, non è un dettaglio. L’armamentario (non parlo di sistemi d’arma) non occidentale è spendibile da una serie di paesi di serie B che se li scambiano tra loro. Ma il fatto che Putin debba ricorrere ad aiuti dell’Iran e della Corea del Nord indica chiaramente quale sia lo stato dell’arte del suo esercito».

Le sanzioni contro la Russia vanno estese a Corea del Nord e Iran, dunque. Contro lo stesso asse.

«Noi abbiamo già una legge che blocca qualsiasi cooperazione tecnologica con quei paesi. L’Italia applica tutte le sanzioni previste dall’Unione europea contro tutti i paesi che costituiscono una minaccia per la sicurezza mondiale».

Magari invece dovremmo intervenire in soccorso, come diceva, di chi la democrazia la difende, come Israele. Invece siamo irenisti con le mani alzate…

«L’altro giorno ho visto in tv una deputata del M5S che asseriva una menzogna assoluta, senza che nessuno le ribattesse. Mentiva spudoratamente dicendo che Israele uccide i palestinesi con armamento italiano. Questa è disinformazione vera».

Torniamo a Zelensky. L’Ucraina fa passi avanti, la politica italiana sembra lontana. Non dimostra troppo coraggio, per dirla con carità di patria…

«Tutto il mondo politico occidentale, non soltanto italiano, non riesce a esprimere alcunché. E da soli si fa poco. Quello che manca all’appello è la multilateralità. L’Europa. La Nato. Le dichiarazioni di certi politici mi ricordano l’atteggiamento di Maria Antonietta durante la Rivoluzione francese. Mentre l’Europa è in fiamme loro mangiano brioches nei palazzi».

Lei cosa farebbe?

«Le dico cosa ho fatto. Nel 1967 ero un giovane tenente pilota. Israele (allora guidato dalla socialista Golda Meir, ndr) venne attaccato nella Guerra dei Sei giorni. Io non attesi il sesto giorno. Mi presentai al mio comandante, il generale Ulivi, capo del SIOS dell’Aeronautica, per offrirmi volontario e far sapere al governo che c’erano piloti italiani pronti a partire in poche ore per difendere Israele con i loro aerei. Non se ne fece niente, ma almeno tentai. C’era una passione, un coraggio, una voglia di contribuire…».

Non vede più eroismo?

«Non vedo un sistema capace di reagire. Siamo sulla soglia della catastrofe, con due guerre una a Nord delle Alpi e una nel Mediterraneo. E vedo come unica preoccupazione quella di non occuparcene perché si ripete che l’escalation è dietro l’angolo. È come se questo fantasma dell’escalation fosse agitato a comando da qualcuno. Mi ricorda la sindrome del Millennium bug. Ha presente?».

C’era timore per i sistemi informatici…

«C’era l’idea che sarebbe successo chissà cosa, che sarebbe andato tutto in tilt. Un Armageddon. Il governo D’Alema impose la massima allerta, vennero cancellate le ferie a Palazzo Chigi e io venni chiamato per dirigere una unità di missione dedicata a fronteggiare la crisi. C’erano tre sottosegretari che a turno, gli ultimi giorni dell’anno non andavano neanche a dormire, assicuravano un presidio di vigilanza istituzionale notte e giorno. Poi, per fortuna, non successe niente».

Quindi da un lato si finge di ignorare la gravità della guerra, dall’altro si alzano i timori per un’eventuale rappresaglia. Provocando una stasi.

«Si affronta tutto con superficialità. Dagli organismi internazionali ai media, che danno alle due guerre la stessa dignità di tante altre notizie di cronaca. C’è una sonnolenza generale. Che quando riguarda chi deve governare si trasforma in irresponsabilità».

Il governo italiano cosa dovrebbe fare?

«La diplomazia è operativa, lavora bene. Ma si agisce in modo ordinario, senza cogliere la straordinarietà di questo momento storico. Cosa farei io? A Israele manderei degli aiuti. Abbiamo qualcosa che può servire loro, per scongiurare la risposta iraniana, che può essere devastante? Agiamo. Facciamo ora tutto quello che si può fare. Abbiamo un sistema di difesa che possiamo attivare, insieme a quello statunitense, saudita, giordano? Se abbiamo la capacità di dare una mano non vedo perché bisogna limitarsi a firmare appelli che chiedono moderazione all’Iran. Anche perché gli Stati Uniti hanno firmato ieri, come l’Italia ha fatto con Giorgia Meloni, l’invito al buon senso. Ma contemporaneamente all’invito al buon senso hanno usato la dissuasione, spedendo in tutta fretta una portaerei con gli F35 e un sottomarino nucleare davanti alle coste di Israele».

Quando parliamo della Russia, parliamo della Libia. I porti con Haftar li sta prendendo Putin.

«Uniamo i puntini. La Russia controlla i porti libici ma non solo. Punta a controllare il Fezzan, un’ampia regione desertica della Libia, per creare dei corridoi dai quali spingere quantità immense di migranti verso l’Europa. Acquisito il Fezzan e controllati i porti, Putin ha in mano i rubinetti dei flussi migratori. Se vuole, riversa un milione di migranti nel Mediterraneo. Una manovra con cui terrebbe l’Europa sotto scacco. E noi che facciamo? Sigliamo protocolli d’intesa con questo o quel paese, raccomandando di frenare i flussi? Bene ma non basta più».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.