È come se l’umanità, ma diciamo l’Europa, fosse andata a sbattere con contro un muro e si fosse svegliata chiedendosi se è tutto vero. La risposta è sì, tutto vero, ma è anche inutile dare in smanie o sentirsi male per la sorte dell’Ucraina, perché quel disgraziato Paese, a partire dal suo presidente Volodymyr Zelensky, sta prendendo atto di essere una causa persa. Diremo più avanti della telefonata fra lui e Trump, il quale era di ottimo umore ed ha confermato che non si vede traccia di consenso russo al cessate il fuoco, ma con l’aria di dire che non è detta l’ultima parola.

D’altra parte, il Presidente americano è concentratissimo nello sviluppare legami molto concreti, diplomatici e specialmente d’affari con la Russia, attraverso una rete fatta di contratti, incontri, progetti di sfruttamento minerario dell’Ucraina in cui coinvolgere la Russia stessa, che non sembrano avere molto a che fare con la ricerca di una soluzione per chiudere la guerra. Del resto nella sua retorica accurata e ripetitiva, Trump ha sempre detto di voler mettere fine alla guerra perché sconvolto dalla quantità delle vite umane perdute, ma non ha mai accennato a una pace giusta.

E proprio ieri Antonio Costa. Presidente del Consiglio europeo ha espresso la speranza, anch’essa europea, che il rapporto fra Putin e Trump “porti a una pace giusta e duratura”. Due aggettivi che per ora non hanno punto d’appoggio. Costa ha anche riaffermato in modo molto vibrante che l’Ucraina deve entrare nell’Unione Europea, evento che Putin considera un affronto, come entrare nella Nato. Costa ha poi parlato con Zelensky cui ha ripetuto le forti espressioni di solidarietà. Trump non ha mai ha detto di voler difendere la sovranità ucraina. E Zelensky, dopo aver ricevuto la lezione di brutale realismo durante lo scontro alla Casa Bianca (da cui fu cacciato e accompagnato alla sua macchina) ha deciso di non irritare Trump, ma anche di non fare sconti.

Trump-Putin, incontro ravvicinato il 24 marzo

L’obiettivo dell’asse americano-russo è un tema ricorrente della storia recente in cui si alternano periodi di guerra fredda e di forte intesa. Il consolidamento del rapporto a prescindere dall’Ucraina è dimostrato dall’annuncio del prossimo incontro personale fra i due imperatori, ma non avverrà a Mosca né a Washington ma in Arabia Saudita (il 24 marzo), Lo ha comunicato personalmente Dmitry Peskov, il portavoce di Putin, il suo Talleyrand elegantissimo e sottile. Prima della telefonata fra Zelensky e Donald Trump. Il Presidente ucraino ha protestato: “Che Putin si limiti a promettere di non bombardare i siti energetici è troppo poco: la guerra ci ha fatto diventare gente molto pratica”. Gli ucraini avevano accettato di rimettersi agli americani per un cessate il fuoco di trenta giorni d ma Putin si è ben guardato dall’accettare.

Zelensky ha insistito: “L’Ucraina accetta le condizioni dettate dagli americani purché i russi facciano altrettanto: è il punto chiave della trattativa”. Il segretario di Stato Marco Rubio gli ha dato ragione ripetendo che “the ball is now in their court”, la palla è adesso nel campo russo. Ma non si è vista alcuna palla. Al Cremlino si dicono sorpresi: non abbiamo mai detto di volere un cessate il fuoco. Che cosa ha risposto Trump a Zelensky? Gli ha detto che “avrebbe cercato di far combinare le due diverse esigenze di russi e ucraini”. Cioè nulla. Trump con i russi vuole ripristinare la rete di scambi commerciali andata in letargo a causa delle sanzioni. Zelensky è deluso ma anche addestrato a incassare le lezioni del principio di realtà Così Donald Trump ha chiuso con lui la telefonata che ha definito “a very good telephone call”.

Il giallo della telefonata tra i due imperatori

A prescindere dai sentimenti e dai risentimenti che la sua spesso sgradevolissima personalità suscita, va guardato come una macchina realistica. E il suo realismo è stato così poco digeribile da lasciare molto malessere ma che ha creato lo spazio per riconoscere quella vecchia bestia che è il già citato principio di realtà: i fatti sono fatti. Quali sono i fatti? Vladimir Putin si è degnato con sorridente astuzia (Putin è addestrato all’astuzia e anche ad usare una minacciosa ironia) di partecipare al metafisico vertice telefonico con Trump da cui tutti speravamo che uscisse l’Ucraina viva, e il risultato è che l’Ucraina è stata poco più di un pretesto per confermare al mondo che i due vecchi ma rispettabili antagonisti della Guerra Fredda, si sono affratellati.

Ed è una vecchia storia già vista negli anni Trenta e poi riaffiorata con il cameratismo nella Seconda guerra mondiale. In termini politici si chiama rinascita delle relazioni russo-americane e il nuovo nato già cammina. Passiamo agli ultimi fatti: Trump ha convinto gli ucraini a mollare la presa sull’ultimo lembo dell’oblast di Kursk e ritirarsi senza essere fatti a pezzi dai russi. E così si è spenta la lieve fiammella della carta da giocare in sede di trattative. Che cosa esattamente si siano detti i due imperatori ancora non si sa e non è certo che si saprà mai.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.