Un articolo apparso ieri sul quotidiano Domani ha fatto tornare ancora una volta alla ribalta le gesta dell’ex avvocato esterno dell’Eni Piero Amara, gola profonda di almeno sei Procure. Un tentativo, quello di Amara, di attribuirsi e farsi attribuire una sia pur parziale attendibilità per poter riacquisire la libertà ma soprattutto poter godere del patrimonio che alla data odierna non risulta inspiegabilmente sequestrato.

Al momento l’unica Procura italiana che pare essere rimasta a dargli credito è quella di Perugia mentre fioccano nei suoi confronti decine di procedimenti per calunnia. Ma andiamo con ordine. Nell’articolo sono riportate le dichiarazioni rese il 6 settembre del 2021 da Amara, mentre era in carcere a Terni, ai pubblici ministeri perugini e poi confluite nella richiesta di archiviazione sulla Loggia Ungheria di cui ancora nessuno degli indagati, a differenza del giornalista del quotidiano di Carlo De Benedetti, risulta avere copia. Stralci parziali dell’atto e, con ogni probabilità, di altri atti di indagine che mettono in difficoltà il gup del Tribunale di Perugia Angela Avila, vittima dell’ennesima e non perseguita fuga di notizie, che nei prossimi giorni dovrà esprimersi proprio su questa richiesta di archiviazione.

L’intento dell’articolo pare essere quello di attribuire credito al racconto di Amara che ha rispolverato davanti al procuratore di Perugia Raffaele Cantone una storia vecchia ed arcinota: quella sulle dichiarazioni del pentito di mafia Luigi Ilardo e sulla connivenza dell’ex procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra con la loggia Ungheria e con Silvio Berlusconi. A rendere ancora più inquietante la vicenda sono queste dichiarazioni su fatti e notizie facilmente reperibili da fonti aperte e addirittura discusse negli anni passati al Csm. Ciò nonostante, nel tentativo di dare un barlume di credibilità al racconto di Amara, la Procura di Perugia si è trovata costretta a scrivere alla Procura nazionale antimafia retta da Giovanni Melillo che, evidentemente, non ha potuto far altro che confermare quello che era già noto: si tratta di fatti e di vicende risalenti nel tempo.

Circostanza, quella della interlocuzione fra Cantone e Melillo, finita in maniera sorprendente anch’essa nell’articolo. La fuoriuscita di anticipazioni della richiesta di archiviazione della Loggia accende un faro anche sui traballanti processi perugini a carico dell’ex presidente dell’Anm Luca Palamara. Il concreto rischio che il ‘pentito’ Amara possa essere bollato come teste falso rischia di esporre a pericolo non tanto egli stesso, oramai subissato da numerosi procedimenti per calunnia, quanto soprattutto quei pm che gli hanno dato credito. Amara ha, infatti, riferito fatti di dominio pubblico ed in particolare, per quanto riguarda Berlusconi, i contenuti della richiesta di archiviazione fatta dall’allora procuratore della repubblica di Catania Mario Busacca e dal procuratore aggiunto Vincenzo D’Agata il 12 gennaio 2005 e il decreto di archiviazione del presidente della sezione gip Sebastiano Cacciatore il 31 gennaio 2005 e, a seguito di ulteriore indagine, anche il 13 luglio 2006.

Per quanto riguarda invece la vicenda Ilardo, Amara ha invece riferito i contenuti della sentenza emessa dalla Corte di Assise di Catania il 27 febbraio 2018 che ha condannato Giuseppe Madonia, Vincenzo Santapaola, Maurizio Zuccaro e Orazio Benedetto Cocimano all’ergastolo per il suo omicidio. La nota della Procura nazionale antimafia inviata alla Procura di Perugia e finita non si sa come nelle mani del Domani non fa altro, quindi, che riportare i contenuti di questi provvedimenti a tutti noti e che, contrariamente a quanto indicato nell’articolo, non idonei a riscontrare alcunché. La vicenda del pentito tarocco Vincenzo Scarantino dovrebbe aver insegnato qualcosa.