Il giorno più nero del CSM: Palamara cacciato, ma chi trafficava con lui resta…

L’esito era abbondantemente scontato: Luca Palamara è stato radiato dalla magistratura. La sentenza della Sezione disciplinare del Csm nei confronti dell’ex presidente dell’Anm è arrivata ieri mattina al termine di un “turbo processo” dove erano stati tagliati tutti i testimoni della difesa e dove erano state dichiarate ammissibili le conversazioni di Palamara con i parlamentari Luca Lotti e Cosimo Ferri, intercettate con il trojan, senza prima attendere la decisione del Parlamento.

Se il dibattimento è stato sprint, la camera di consiglio non è stata da meno: poco di due ore. Il processo, durato appena tre settimane, ha segnato dunque un record per la disciplinare del Csm, caratterizzata da ben altre tempistiche. L’avvocato generale dello Stato Pietro Gaeta, che rappresentava la pubblica accusa, rispondendo a questa obiezione durante la sua requisitoria aveva sostanzialmente detto che si trattava di una fake news in quanto essendo Palamara sospeso cautelarmente dal servizio il processo doveva per forza concludersi in tempi rapidi. Dalle informazioni in possesso de Il Riformista lo scenario è però diverso. Anche in presenza di magistrati che hanno riportato pesanti condanne penali, e non era il caso di Palamara, trascorrono anni prima di giungere a una sentenza di radiazione dall’ordine giudiziario. Ma tant’è.

Sulla carta l’ex presidente dell’Anm ha la possibilità di fare ricorso alle Sezioni unite della Corte di Cassazione. Ma anche a piazza Cavour l’esito, salvo improbabili colpi di scena, pare scontato, con la conseguente conferma della sentenza del Csm. «Non è l’esito di un procedimento disciplinare degno di questo nome, è piuttosto un esorcismo», ha commentato a caldo Giandomenico Caiazza, presidente delle Camere Penali. Il sospetto, anzi, la quasi certezza, è che la magistratura abbia voluto chiudere quanto prima la pratica Palamara ed il Palamaragate per tentare di recuperare davanti all’opinione pubblica un’immagine quanto mai compromessa.

Alla domanda se si fosse trattato di una sentenza “politica”, il difensore di Palamara, il consigliere di Cassazione Stefano Giame Guizzi, ha risposto diplomaticamente di no. Guizzi, terminando la sua arringa difensiva, aveva citato un passaggio del libro del giurista Salvatore Satta Il mistero del processo in cui era descritta l’udienza avvenuta a Parigi nel 1792 durante la Rivoluzione francese a carico del maggiore Bachmann, guardia svizzera del Re. La scena è quella dei sanculotti che invadono l’aula venendo prontamente bloccati dal giudice Lavau che gli intima di “rispettare la legge e l’accusato che è sotto la sua spada”. «Si sente dire in giro che la vostra sarà una sentenza politica e ciò per le ripercussioni che l’eventuale decisione diversa dalla rimozione di Palamara potrebbe determinare nell’ordine giudiziario e nei rapporti con gli altri poteri dello Stato: mi rifiuto di crederlo, sono convinto del contrario», aveva affermato Guizzi. Per poi aggiungere: «Sono certo che sarà frutto solo della vostra autonoma e indipendente capacità di giudizio io sono un giudice e quindi so».

A nulla sono valse le ricostruzioni alternative fornite dalla difesa di Palamara, secondo cui la presenza del deputato dem Luca Lotti la sera del 9 maggio all’hotel Champagne fosse per incontrare il magistrato romano che aveva presentato la candidatura all’Authority della Privacy. Nessun patto oscuro per nominare il procuratore generale di Firenza Marcello Viola alla Procura di Roma. Anche perché l’accusa non ha mai affermato e neppure ipotizzato che Viola fosse il promotore di questi accordi o fosse a conoscenza di questi accordi che venivano discussi nel corso della riunione all’hotel Champagne.

Si sarebbe trattato, insomma, di una nomina a sua insaputa per poi “sistemare” il processo di Lotti, imputato nell’indagine Consip. Mistero, infine, su cosa abbia fatto cambiare idea da parte dei davighiani a proposito di Viola, inizialmente votato in Commissione incarichi direttivi dallo stesso Piercamillo Davigo. Il pm antimafia Sebastiano Ardita, togato davighiano al Csm, aveva incontrato a pranzo Viola la mattina del 9 maggio. La circostanza, passata sotto silenzio, è emersa solo ieri. Con l’espulsione di Palamara il destino dei cinque consiglieri che hanno partecipato pare segnato. Difficile un metro di giudizio diverso. L’unica speranza per i cinque ex togati è di cercare di prendere tempo e sperare di essere giudicati da un Csm diverso, quando il clamore mediatico sarà scemato e la vicenda Palamara un lontano ricordo.