L’arte barocca ha generato alcuni dei più grandi capolavori che l’umanità abbia mai visto. Basta visitare gioielli come Cappella Sansevero, a Napoli, per apprezzare la teatralità e lo sfarzo di quella straordinaria stagione culturale. In politica e nella pubblica amministrazione, però, il barocco ha fatto solo danni. Prova ne sono gli ultimi cinquant’anni di storia italiana, caratterizzati da una burocrazia capace di asfissiare e paralizzare i vari soggetti chiamati a realizzare progetti strategici. L’esperienza sembra non aver insegnato nulla al premier Giuseppe Conte che ieri ha illustrato al Corriere della Sera il suo piano di utilizzo del Recovery Fund. Il presidente del Consiglio ha parlato di una cabina di regìa della quale egli stesso farà parte insieme con i ministri Gualtieri e Patuanelli.

A loro si aggiungerà un terzo ministro, cioè Amendola, con il compito di interfacciarsi con le autorità europee. La cabina di regìa si appoggerà a un comitato esecutivo composto da sei manager, uno per ogni progetto inserito nel Piano di ripresa e di resilienza. Ognuno dei sei team avrà a disposizione 50 esperti. Al di sopra di tutti ci sarà un comitato di garanzia nominato dal presidente Mattarella e incaricato di sovrintendere all’attuazione dei progetti. Il tutto con il coinvolgimento – sacrosanto, per carità – del Parlamento. Sapete che cosa vuol dire tutto ciò? Che dei 209 miliardi destinati all’Italia sarà sborsata soltanto una minima parte, come nella “migliore” tradizione del nostro Paese. E che quelle poche risorse che saranno state effettivamente erogate, si disperderanno in mille rivoli di spesa traducendosi non in investimenti strutturali ma nelle più classiche e deprecabili mancette a questa e a quella categoria. Non si tratta di essere profeti di sventura, ma di tenere conto dei limiti strutturali del nostro ordinamento politico-amministrativo.

In un Paese dove le competenze sono spesso ripartite tra Stato e Regioni, dove qualsiasi iniziativa è ostacolata da normative confuse e contraddittorie, dove ricorsi al Tar e inchieste penali sull’operato di pubblici amministratori e imprenditori privati sono all’ordine del giorno e troppo spesso si risolvono in clamorosi e dolorosi buchi nell’acqua, gli arzigogoli barocchi di Conte sono pura follia. L’Italia ha bisogno di procedure amministrative più snelle, di progetti realizzati e non puntualmente destinati a rimanere lettera morta. Il piano annunciato da Conte ha un solo obiettivo: quello di deresponsabilizzare lo stesso premier e di metterlo al riparo dalle devastanti conseguenze – in termini di consenso – che il fallimento del Recovery Fund immancabilmente produrrà.

A risentirne sarà tutto il Paese, in particolare il Mezzogiorno. Il Sud, infatti, ha più bisogno dei fondi messi a disposizione dall’Europa per mettere in sicurezza le imprese travolte dalla crisi-Covid, creare le condizioni per uno sviluppo duraturo e sostenibile, colmare quel gap con il Nord che decenni di mancati investimenti pubblici da Roma in giù non hanno fatto altro che lievitare. Senza dimenticare che il Mezzogiorno, come il governatore campano Vincenzo De Luca ha sottolineato, presenta un quadro politico più frastagliato e un tessuto socio-economico meno forte e quindi meno capace di condizionare le scelte della politica. Ecco perché le “linee curve”, gli “intrecci” e i “giochi di luci e ombre” annunciati da Conte rischiano di assestare il colpo di grazia al Sud. Che del barocco in politica farebbe volentieri a meno.

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.