Crisi di sistema
“Il Governo impone cose che non può ma il Parlamento è troppo rinunciatario”, intervista al costituzionalista Gaetano Azzariti

Prima che il presidente del Consiglio si presentasse ieri in Senato, in una riunione di maggioranza messa su in fretta e furia per trovare un accordo di compromesso che evitasse a Conte di perdere la faccia e a Draghi di perdere la pazienza (e, con essa, la guida del governo) pare che il sottosegretario agli Affari europei, Enzo Amendola, presente per conto di Palazzo Chigi, sia stato irremovibile su due punti.
Primo: se la risoluzione di maggioranza vuole specificare che il Parlamento deve essere coinvolto sulla questione dell’invio di armi all’Ucraina deve essere richiamato il documento che ha già autorizzato l’invio perché una risoluzione non può smentire un decreto già approvato da Camera e Senato. Secondo: il governo non può essere posto sotto tutela. Ma… abbiamo forse cambiato forma di governo? Non eravamo una repubblica parlamentare? Ecco cosa ne pensa il professor Gaetano Azzariti, ordinario di Diritto costituzionale alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università la Sapienza a Roma.
Professore, tra le indicazioni arrivate da palazzo Chigi prima che Draghi si recasse al Senato ci sarebbe stata la raccomandazione di tener presente che una risoluzione parlamentare non può smentire un decreto legge già votato da entrambe le Camere. Cosa dice la legge?
Sotto il profilo giuridico-formale è evidente che un decreto legge convertito in legge dal Parlamento non può essere “smentito”, intendendo più propriamente “abrogato” ovvero “modificato”, da una risoluzione parlamentare. Ma non mi sembra questo il punto, che invece riguarda l’autonomia dell’organo parlamentare e i suoi poteri di controllo e indirizzo sul governo. Da questa prospettiva è evidente che lo strumento della risoluzione rappresenta lo strumento classico che serve proprio per dare indicazioni politiche all’organo governo. L’eventuale approvazione di una risoluzione che invitasse il governo a non inviare più armi in Ucraina impegnerebbe politicamente il governo a dare seguito a tale determinazione anche non cambiando i decreti da poco approvati e convertiti. Che non obbligano, bensì permettono l’invio di armi. Anche in questo caso il governo sarebbe in grado di esercitare i propri poteri autonomi di politica estera, sebbene condizionati da quanto espresso dal Parlamento. S’intende che un comportamento in netto contrasto con la risoluzione approvata, se continuasse a inviare armi a fronte di un indicazione opposta della maggioranza del Parlamento, aprirebbe una delicata questione politica che potrebbe facilmente portare alla crisi di governo. Faccio presente che il Parlamento, ove volesse impedire in radice il proseguimento dell’invio delle armi, potrebbe più linearmente approvare una legge che – questa sì – potrebbe abrogare e modificare quanto in precedenza stabilito. Certamente un atto estremo, ma questo a dimostrazione di come ci troviamo di fronte a un problema di “forma di governo”, ovvero degli equilibri tra governo e parlamento. Non invece di ciò che può astrattamente fare o non fare il Parlamento.
Se una parte consistente delle forze politiche presenti in Parlamento mostrasse di non sentirsi più disponibile a non esercitare il potere di controllo su quel che fa il governo in materia di invio di armi all’Ucraina, l’unica via che avrebbe ora è ritirare la sua fiducia al governo o esistono delle alternative che non compromettano la fiducia al governo ma consentano al Parlamento, o a una sua parte, di ottenere risposte dal governo che non equivalgano a un “ma insomma, lasciateci lavorare”, traduzione dell’espressione: il governo non può essere messo sotto tutela?
L’affermazione che il governo non può essere messo sotto tutela dal Parlamento ha del paradossale, almeno dal punto di vista costituzionale. Ripeto: ciò che è realmente in gioco sono i rapporti costituzionali tra esecutivo e legislativo. La nostra è una forma di governo parlamentare la quale presuppone un rapporto di fiducia che lega il governo al Parlamento, voler escludere che il Parlamento possa esprimere il proprio indirizzo ed intervenire su questioni così rilevanti come la guerra è segno dei tempi e della crisi del Parlamento, da tempo troppo silenzioso. Certo, la “voce” della maggioranza in Parlamento, soprattutto su questioni decisive di politica estera, dovrebbe essere unitaria e definire un indirizzo politico chiaro a sostegno della propria maggioranza. Se così non è – come sembra – non solo si indebolisce il Parlamento – la sua maggioranza- ma anche il governo. La sfiducia, che normalmente assume le forme della crisi extraparlamentare, sarebbe l’esito finale e la presa d’atto della incompatibilità tra le forze che attualmente sostengono il governo.
Tra le funzioni del Parlamento esiste quella di esercitare il suo potere di indirizzo. È mai successo che un governo chiedesse al Parlamento di rinunciare a questa sua prerogativa?
Rinunciare alle proprie prerogative sarebbe da parte dell’organo costituzionale che la compie un suicidio. E il Parlamento a me pare essere da tempo troppo rinunciatario, dovrebbe semmai cercare di farsi valere con più incisività. La richiesta poi di rinunciare alle proprie prerogative rivolta al Parlamento da parte di un altro organo, il governo, è semplicemente improponibile.
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