L’estate sta finendo ed è il momento per ogni famiglia di sedersi alla scrivania e fare i “conti” con la realtà. Allo stesso modo, anche il governo di Giorgia Meloni – a breve – dovrà decidere che strada deve prendere il paese dal punto di vista dell’economia e della finanza. Come ogni anno, infatti, settembre è un mese cardine: l’esecutivo deve presentare la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, meglio conosciuta come Nadef. Tradotto in parole povere: bisogna capire se il paese sta andando come il governo aveva previsto, se il Prodotto interno lordo, il debito pubblico, l’inflazione e il livello di occupazione sono ai livelli che Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia, aveva scritto nella legge “Finanziaria”.

Il pit stop necessario

Insomma, è il momento di fare un “pit stop” e verificare se le cose vanno come preventivato. Non c’è un solo governo nella storia repubblicana che a settembre non ha dovuto presentare una “manovra” correttiva. E come ogni anno, in previsione di ciò che accadrà a settembre, il dibattito si concentra su alcuni temi standard. Manovra “lacrime e sangue”, tesoretto, “debito fuori controllo”. Insomma, nulla di nuovo sotto il sole. Cosa devono aspettarsi gli italiani in vista di settembre? Il contesto in cui dovrà decidere l’esecutivo è molto cambiato dal varo della Finanziaria lo scorso 28 dicembre.

All’orizzonte c’è il timore di una recessione negli Stati Uniti; la Cina è ancora afflitta da consumi al palo, disoccupazione interna giovanile alta e crisi immobiliare; l’Unione europea è alla prese con una Germania economicamente e politicamente “inceppata”. Ancora, le Banche centrali devono dare una direzione all’andamento dei tassi. I più si aspettano un taglio a settembre sia da parte della Federal Reserve che della Bce. Senza contare che l’inflazione potrebbe presentare ancora fiammate a causa della “guerra” commerciale in corso tra Washington, Pechino e Bruxelles con veti e dazi reciproci sull’export delle tre aree.

La manovra correttiva

A ciò si deve aggiungere il debito pubblico sulla soglia dei tremila miliardi di euro, interessi da pagare molto vicini ai 93 miliardi di euro e il rapporto deficit pil al 4,4%. La manovra del governo dovrà per forza di cose ripartire proprio da quest’ultimo dato. Stando al nuovo Patto di Stabilità dell’Unione europea, infatti, i paesi che superano il 3% del Deficit/Pil devono intervenire con un’azione correttiva pari allo 0,5% del Prodotto interno lordo dello Stato.

L’Italia, dunque, dovrebbe prevedere un intervento simile anche alla luce della procedura di infrazione che la Commissione europea ha avviato nei confronti del nostro paese, la Francia e altri cinque membri dell’Ue lo scorso 19 giugno. Tradotto in soldi, l’Italia dovrebbe prevedere una correzione dei conti pubblici tra i 10 e i 12 miliardi di euro l’anno per almeno sette anni.

Nuova commissione Ue

Parliamo al condizionale, perché entra in gioco il secondo elemento in ballo per il nostro paese: la costituzione della nuova Commissione europea. Giorgia Meloni, infatti, dovrà accordarsi con l’esecutivo guidato da Ursula von der Leyen per definire i parametri di rientro del deficit. Questa è una partita tutta politica.

Si potrebbe, infatti, evitare un impatto cosi forte sui conti allungando la durata del rientro. Per farlo, però, servirebbe trovare una Commissione ben disposta nei confronti dell’Italia. Auguriamoci, perciò, che le tensioni tra Roma e Bruxelles riportate dai quotidiani siano solo presunte e che si riesca a individuare una formula più accomodante.

Tesoretto

Ad aiutare l’esecutivo, da un punto di vista contabile, come ogni anno spunta un “tesoretto”. In pratica, nei primi sei mesi dell’anno ci sarebbero maggiori entrate da imposte e tasse per circa 10 miliardi. Per la fine del 2024, questa cifra potrebbe salire a 20 miliardi. È il ministro dell’Economia, Giorgetti, però a invitare alla cautela. Nella conferenza stampa tenuta lo scorso 7 agosto, il titolare del dicastero economico ha affermato: “Aspettiamo, non è che uno arriva a 100 metri e dice ho vinto”. Per la serie: vediamo se davvero sono 20 miliardi senza fare il passo più lungo della gamba.

L’incubo rating spazzatura

Mettendo da parte la questione tesoretto, resterebbero da trovare i soldi per mantenere le agevolazioni fiscali attualmente in campo. In modo particolare, servirebbero 18 miliardi di euro per confermare il taglio del cuneo fiscale e la rimodulazione delle aliquote Irpef. E si dovrebbero aggiungere altri cinque o sei miliardi per il rinnovo dei contratti pubblici e altre spese non differibili. Un intervento, pertanto, molto serio che l’aumento delle entrate fiscali dovrebbe rendere più digeribile.

Senza dimenticare un elemento molto importante: il debito pubblico italiano è sotto la lente delle agenzie di rating. Ecco perché è assolutamente necessario una politica di bilancio prudente al fine di evitare il declassamento del debito pubblico. Nel caso di Moody’s, ad esempio, significherebbe arrivare al rating “Junk”, cioè spazzatura, con un impatto enorme sulla possibilità di continuare a vendere i titoli di Stato sul mercato. È il momento che l’esecutivo faccia bene i conti, vista la posta in gioco.

Avatar photo