Il governo è in cerca di risposte urgenti, possibilmente reali, a svariati problemi. Per ora, però, hanno tutte il sapore vago del populismo. Al caro-vita si risponde con il patto anti-inflazione per calmierare i prezzi: forse in ottobre e se parteciperanno i produttori, vedremo. Al caro-mutui si pensa di rispondere con una norma pasticciata, non condivisa e che ha giù mangiato 9 miliardi in borsa che andrà a tassare gli extraprofitti delle banche.

Al disservizio costante e perenne dei taxi si risponde con una norma che cambia poco o nulla ed è frutto dei diktat della lobby dei tassisti. All’immigrazione fuori controllo – 94 mila sbarchi dal primo gennaio, mai così tanti negli ultimi sette anni – e che sta generando molta tensione nei territori e tra i sindaci soprattutto di destra, si risponde con l’ennesimo pacchetto sicurezza che avrà al centro “una stretta definitiva sui rimpatri di chi non ha diritto a restare in Italia”.

Come? Per fortuna a nessuno a palazzo Chigi è ancora venuto in mente l’opzione navi-galleggianti o isole in mezzo all’oceano pensata dall’amico premier inglese Richi Sunak. La Meloni’s way – abbandonato il muro navale – è aprire Centri per il rimpatrio in ogni regione, anche più d’uno per regione. Una soluzione copiata pari pari da Marco Minniti, ex ministro dell’Interno del governo Gentiloni. Correva l’anno 2017. Da allora l’opzione Cpr è rimasta lettera morta. Per un motivo soprattutto: i presidenti di regione e i sindaci, di destra e di sinistra, non vogliono avere i Centri nei propri territori perché sono calamite di guai, tensioni e malumori. Perché mai, quindi, dovrebbe cambiare qualcosa adesso?

Eppure di questo hanno parlato lunedì sera, dopo il Cdm, la premier Meloni e il ministro Piantedosi. “Dobbiamo risolvere questo problema, gli sbarchi aumentano e i territori, anche quelli governati dai nostri, non reggono più. Serve un segnale forte, Matteo (Piantedosi, ndr) trovalo”.

I Cpr sono luoghi dove trattenere, contro la loro volontà e in base ad una norma amministrativa, gli stranieri irregolari, recidivi – specie su reati di violenza – che non possono stare in carcere ma neppure in Italia. Il caso del nigeriano – con precedenti per danneggiamento, espulso più volte ma ancora in Italia – che ha aggredito e poi ucciso la sessantenne Iris Setti a Rovereto, è solo l’ultimo di una serie sempre più lunga.

Il nuovo pacchetto sicurezza – il primo atto del governo Meloni un anno fa fu il decreto rave (di cui non sono note stime circa la sua applicazione) – prevede il rafforzamento di uomini e mezzi per le forze dell’ordine e anche della polizia locale. Fin qui tutto facile se ci fossero i soldi che al momento non ci sono. Poi pene più dure per chi compie aggressioni, per combattere la piaga delle baby gang e della violenza minorile. Infine qualcosa per rendere effettive le espulsioni. O meglio: i rimpatri. Quanto meno per impedire ai più pericolosi di stare fuori, liberi di circolare, in attesa di giudizio o di una espulsione che non arriverà mai. Nwekw Chukwuka, il nigeriano di 37 anni che aggredito e ucciso la sessantenne Iris a Rovereto, non tornerà mai in Nigeria. A meno che non cambi la natura della reciprocità degli accordi legali con il governo locale. E con tutti gli altri paesi africani da cui originano maggiormente i flussi in arrivo in Italia e poi in Europa. Questo è il punto. Ed ecco quale sarebbe il vero piano Mattei.

I Cpr non possono essere per loro natura una soluzione. Sono un pezzo della soluzione che comprende molto di più. Ma per restare alle formule populistiche (“l’ordine – si spiega al Viminale – è rafforzare i Cpr”) bisogna sapere che oggi in Italia i Centri per il rimpatrio attivi sono solo dieci in otto regioni e garantiscono un totale di 1100 posti. Sono ospitati in otto regioni su venti, Calabria e Sicilia ne hanno già due. Il Centro più grosso è quello di Roma (200 posti). La previsione di farne tanti, anche due o tre in ogni regione per evitare grossi assembramenti più difficili da gestire, è rimasta lettera morta dal 2017. Lo stesso Salvini preferì concentrarsi sui porti chiusi perché sapeva che chiedere ad un sindaco o un governatore di aprire un centro nel proprio territorio significava, allora come oggi, incassare No secchi e proteste.

Il problema è che non si capisce come oggi il ministro Piantedosi possa riuscire a convincere sindaci e governatori ad ospitare i Centri. Già adesso, lontano dalle pagine dei giornali, dai notiziari di siti e dai talk show che non se ne occupano più, i sindaci protestano e mandano indietro (nel senso che li riportano in prefettura) i migranti sbarcati in Italia, entrati nel sistema di accoglienza e distribuiti in giro per l’Italia dal Commissario per l’emergenza migranti Valerio Valenti. Va anche detto che il sistema di accoglienza è ridotto al lumicino, smantellato dai decreti Salvini. Così i migranti vagolano per le città, le campagne, si arrangiano come possono e sempre più spesso finiscono per delinquere. Per necessità e disperazione.

Si attendono risposte concrete ed efficaci. Nel frattempo in mare si è consumata l’ennesima tragedia: un barchino si è ribaltato ed è affondato mentre stava navigando nel Canale di Sicilia. Il bilancio è drammatico: 41 morti, tra cui tre bambini.
Il nuovo pacchetto sicurezza sarà quindi solo la solita propaganda. Merce buona per la campagna elettorale per le europee. E per tenere buono il proprio elettorato e il socio Salvini.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.