Il cibo, l’eleganza, la musica, lo spettacolo, sono campi in cui l’Italia ha un posizionamento alto che viene da lontano e che ne fa un vero patrimonio nella borsa dell’immaginario. Non è, insomma, inservibile. Resta un fattore di fondo. Ma deve misurarsi seriamente anche sulla percezione di coloro che conoscono, che sono più vicini alle realtà, che interagiscono e negoziano con il paese reale, che vedono e raccontano elementi di forza e di declino.

Dunque, vedere l’altro aspetto dell’immagine è il necessario rovescio della medaglia, che chi governa (chi governa qualunque cosa, lo Stato, il territorio, l’economia, la cultura, l’educazione, eccetera) deve sforzarsi di tenere in equilibrio valutativo. E allora, bene sapere se siamo al 9°, al 10° o al 30° posto nella classifica globale (tra le città lo slittamento di posizione verso l’alto e verso il basso, è più forte e capriccioso), cioè, sapere quale è il PIL immaginario pro-capite nostro e degli altri nel mondo. Ma per entrare in dinamiche di senso (cioè critico, per la competizione e per ipotesi di cambiamento) dobbiamo anche percorrere un’altra strada: passare da analisi statistico-demoscopiche generali ad analisi che appartengono di più alla “nasometria” attorno agli avvenimenti.

L’obiettivo della nasometria

La nasometria è una religione mediatica. Salvo che i bravi giornalisti ci aggiungono anche una salsina che forma il gusto: l’accertamento. Dunque nel caso bisogna scendere in quel fazzoletto del pianeta che è l’Italia per è sfogliare il repertorio delle notizie recenti per un necessario aggiornamento sulla sostanza della nostra reputazione. Anche per far questo, serve un po’ di metodo e qualche regola: le categorie dell’accertamento sono almeno una ventina, che misurano andamenti diversi (politica, economia, cultura, eccetera); ad esse si aggiungono gli ambiti di servizio pubblico (che misurano il grado della qualità civile), che sono una decina (ospedali, formazione e università, gestione del bisogno, eccetera); poi ci sono le trasversalità, di cui tener conto caso per caso (sicurezza, criminalità, laboriosità, indole, eccetera). Non si fa buona nasometria se il format di indagine è scriteriato.

Le altre notizie

Ora, buona parte dello spazio disponibile ce la siamo fin qui spesa per fare una certa introduzione sulla reputazione dei brand nazionali. Per scendere un po’ a terra sarà necessaria una “fase due”. Selezionando notizie di recente impatto e cercando di capire in cosa consiste questa altra mappa. Sulla quale non si esprimono esseri umani di altre latitudini che danno il voto a riverberi generali. Ma si esprimono in prima istanza cittadini per lo più residenti ed elettori; operatori con comportamenti in qualche modo relazionati a quell’impatto; media che condizionano la natura del dibattito pubblico. L’obiettivo è cogliere se questo 2024 è in linea con quel senso di tenuta di posizione in alta classifica che i ranking ci attribuiscono. Sempre ricordando che il giornalismo resta una non scienza, nel senso che non sopporta troppe gabbie programmate. Al massimo il titolino fisso di una rubrica. Poi regna l’agenda day-by-day. Un’agenda in cui agisce il pluralismo dei media che può consegnare ai propri frammenti di pubblico al massimo il 10% di quello che si chiama “flottante notiziabile”.

Sull’immagine dell’Italia le notizie sono tante, ma non tutte realmente incidenti. Bisogna scegliere, misurare, confrontare. Senza dimenticare la “nasometria”, quella che ci fa cogliere l’incidenza o la sterilità delle notizie. Cosa che di questi tempi ci fa vedere meglio cose che pesano sul tema: dall’intitolazione di Malpensa a Berlusconi alla scalata di Unicredit a Commerzbank. Un riscontro nazionale di tipo reputazionale, quindi con carattere interno, su un tassello del tema Brand Italia viene ad esempio in questi giorni dalla rilevazione Ipsos (Pagnoncelli sul Corriere) relativa al “gradimento” da parte degli italiani del governo e della premier. Si misurano i due anni di governo. Che all’inizio partiva con il 52% e Meloni con il 54%, mentre ora il dato è appaiato per le due voci al 44%.

Dunque, calo progressivo, con trend simile a governi precedenti (salvo il Conte II che invece risalì). Molte competenze seguono questo lento calo, non la “politica internazionale del governo” che mantiene un saldo finale superiore alla curva generale. A fine anno avremo la rilevazione Demos (Diamanti su Repubblica) relativa alla fiducia rispetto a una trentina di contesti istituzionali la cui somma non fa “Italia”, ma una porzione importante. Perché, come detto, si tratta di report di percezione interna che non misurano l’immagine globale del Paese ma vi concorrono. Nella terza parte, scenderemo dunque sui fatti recenti. Temi che di solito i governi sbandierano come grandi successi e le opposizioni dipingono come grandi fiaschi. L’aleatoria “reputazione” non si misura a tassametro. E si forma anche dopo la mediatizzazione. Quando se ne sa di più e se ne scorgono le conseguenze. Per questo, quando si fanno questo genere di mappe, più si colgono i chiaroscuri più ci si coglie.

Stefano Rolando

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