Il caso
Il grido dell’imprenditore arrestato per il caso Resit: “Sono malato, fatemi tornare a casa”
Le cronache degli ultimi anni hanno parlato di lui come del “re delle discariche” e hanno associato il suo nome alla cosiddetta Terra dei fuochi per una gestione dei rifiuti finita al centro di indagini e accuse, processi e sentenze. Parliamo di Cipriano Chianese, avvocato e storico imprenditore del settore dei rifiuti, originario di Parete, nel Casertano, e personaggio chiave del processo sui veleni della Resit, la grande discarica di Giugliano. In cella da quattro anni e con quasi l’intera condanna scontata tra domiciliari e carcere, imputato in attesa della sentenza definitiva della Corte di cassazione, Chianese chiede ora gli arresti domiciliari per motivi di salute e li chiede in un luogo lontano dalla Campania, in Calabria o in Toscana, comunque a 500 chilometri di distanza dalla terra che gli è costata le accuse, il processo e la condanna. In piena emergenza Covid la sua richiesta appare simile a quella degli oltre trecento detenuti che in questi mesi hanno potuto beneficiare del regime detentivo alternativo al carcere.
L’istanza di Chianese è stata discussa dinanzi al Tribunale del Riesame su appello proposto dai suoi difensori (i penalisti Giuseppe Stellato ed Emilio Martino) dopo il no della Corte di assise di appello dinanzi alla quale, a gennaio 2019, si concluse il secondo grado. Cartelle cliniche e perizie sono ora al vaglio dei giudici del Riesame e saranno bilanciate con la storia giudiziaria del detenuto. Si attende la decisione. La difesa intanto ha motivato la richiesta di arresti domiciliari sulla base dei motivi di salute e delle esigenze cautelari attenuate. Partendo da queste ultime, la difesa ha rilevato come Chianese sia in carcere per fatti che risalgono a oltre quindici anni fa e che, dei diciotto anni di condanna decisi in Appello, circa tredici l’imprenditore li ha già espiati. A ciò si aggiunge la storia del detenuto che nei sei anni del dibattimento è sempre stato agli arresti domiciliari, senza commettere violazioni, ottenendo anche la possibilità di recarsi a Padova ogni settimana, soggiornare lì per una notte e al mattino seguente presenziare alle udienze del processo che lo vedevano tra gli imputati per bancarotta per poi fare rientro a Caserta, viaggiando ogni volta da solo, in treno, senza scorta.
Quando il dibattimento si concluse e ci fu la sentenza di condanna, Chianese era a casa, ancora ai domiciliari. Dopo pochi giorni da quel verdetto gli fu notificato il provvedimento di inasprimento della misura cautelare e fu portato in cella. Era luglio 2016. Da allora sono trascorsi quasi quattro anni durante i quali Chianese ha cambiato istituti di pena e celle. Ora è nel carcere di Catanzaro. Negli anni la sua salute è peggiorata: Chianese ha affrontato un intervento chirurgico e problemi di salute che richiedono controlli e terapie. Oggi è un uomo settantenne con patologie che lo rendano un detenuto bisognoso di cure che non tutte le carceri possono garantire e, in tempo di Covid, anche un soggetto potenzialmente più a rischio se esposto al contagio. Sulla base di queste argomentazioni Chianese ha chiesto ai giudici di poter tornare ai domiciliari, anche in un luogo lontano dalla sua casa, e di poter attendere lì la fissazione dell’udienza in Cassazione dove si tornerà a parlare della discarica Resit, di perizie e questioni tecniche su cui da anni si alternano versioni contrastanti fra varie assoluzioni e poche condanne.
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