Dopo 48 ore di interrogativi, chiariti in parte della parole di Vladimir Putin nel discorso alla nazione di lunedì sera, il jet privato (Embraer Legacy 600) del capo del gruppo della Wagner, Yevgeny Prigozhin, è atterrato prima delle 8 di martedì 27 giugno all’aeroporto militare di Machulishchi, vicino a Minsk, in Bielorussia. Stando a quanto riferiscono i media locali, il volo sarebbe partito da Rostov sul Don. Pochi minuti dopo un altro jet è atterrato allo stesso aeroporto da San Pietroburgo.

Non è chiaro, al momento, se Prigozhin fosse o meno a bordo. Il jet in questione con il suo vecchio numero di registrazione era stato incluso nell’elenco delle sanzioni Usa nel 2019 a causa del suo legame con Prigozhin, ma nel 2020 ha ricevuto una nuova registrazione.

Il capo del gruppo Wagner, dopo la rivolta durata una manciata di ore, era atteso da giorni nella Bielorussia di Lukashenko, artefice, secondo la ricostruzione russa, di un ottimo lavoro di mediazione. Non è chiaro quale sarà il suo futuro anche perché ci sono ancora diversi aspetti da chiarire in merito a quanto avvenuto tra venerdì e sabato a Rostov, a Mosca e a San Pietroburgo. Tra propaganda e ricostruzioni affrettate da parte di analisti già caduti in errore con la profezia della guerra lampo in Ucraina di Putin.

Già chiusa l’indagine su gruppo Wagner: armi pesanti all’esercito russo

Era stato indagato per la sua azione terroristica. Una indagine lampo: aperta e chiusa nel giro di pochi giorni dal servizio federale per la sicurezza del Cremlino. Lo riferisce Ria Novosti citando un comunicato del servizio segreto di Mosca. “Nel corso delle indagini sul procedimento penale avviato dal dipartimento investigativo dell’FSB della Federazione Russa il 23 giugno ai sensi dell’articolo 279 del codice penale sulla ribellione ribellione armata – si legge nella nota dell’Fsb – è stato stabilito che il 24 giugno i suoi partecipanti hanno interrotto le azioni direttamente volte a commettere un crimine. Tenendo conto di questa e di altre circostanze rilevanti per l’indagine – continua la nota dei servizi russi – il 27 giugno l’autorita’ investigativa ha emesso una decisione di chiudere il procedimento penale”.

Il ministero della Difesa guidato Sergei Shoigu, l’uomo al quale Prigozhin ha dichiarato guerra,  fa sapere che sono in corso i preparativi per trasferire gli armamenti pesanti del gruppo Wagner alle Forze armate russe.

Nel suo discorso alla nazione, il presidente russo, che continua a non citare il suo ex chef Prigozhin,  ha ricordato che i piloti delle forze armate sono stati uccisi nel corso di scontro con unità paramilitari di Wagner sabato scorso, ringraziando tutti coloro “che si sono opposti ai ribelli” e sono rimasti “fedeli al loro dovere, al loro giuramento e al loro popolo“. Prigozhin aveva invece sostenuto che durante la “marcia di giustizia” dei suoi uomini da Rostov sul Don in direzione della capitale “sul terreno non era stato ucciso neanche un soldato”, sottolineando che la rivolta era nata per protestare contro i vertici militari del Cremlino e non per realizzare un tentativo di ‘golpe‘, circostanza quest’ultima assai improbabile in una nazione potenza mondiale e nucleare.

In un audio di 11 minuti diffuso via Telegram, il capo del gruppo paramilitare ha spiegato che il suo non era un tentativo di “rovesciare la leadership russa”, ma di “evitare la distruzione di Wagner e di chiedere conto ai funzionari che con le loro azioni non professionali hanno commesso un numero enorme di errori”.

Il tradimento perdonato da Putin?

Putin, nel video durato circa cinque minuti, ha ribadito invece il tradimento del gruppo paramilitare. “Ogni tentativo di creare disordini interni è destinato al fallimento”, ha rimarcato, e gli “atti criminali” sono stati soppressi, grazie a coloro che sono rimasti “fedeli al loro dovere”. Ha parlato poi di “fratricidio” sognato dai nemici della Russia, a partire da Kiev e dai “protettori” occidentali. “Volevano che i soldati russi si uccidessero a vicenda, uccidessero militari e civili, in modo che alla fine la Russia perdesse e la nostra società si dividesse, soffocando in una sanguinosa guerra civile. Si sono fregati le mani, sognando di vendicarsi dei loro fallimenti al fronte e durante la cosiddetta controffensiva, ma hanno sbagliato i calcoli”.

Tornando al gruppo Wagner, braccio armato russo nella politica estera, Putin ha riconosciuto che “la stragrande maggioranza dei combattenti e dei comandanti sono anche patrioti russi, devoti al loro popolo e al loro stato. Lo hanno dimostrato con il loro coraggio sul campo di battaglia, liberando il Donbass. Hanno cercato di usarli nell’oscurità contro i loro fratelli d’armi, con i quali hanno combattuto insieme per il bene del Paese e del suo futuro”.

Per tale motivo “su mie dirette istruzioni, sono state prese misure per evitare molti spargimenti di sangue” e per dare il tempo “a coloro che hanno commesso un errore” di ripensarci. Il leader del Cremlino ha quindi ringraziato quei soldati e comandanti del gruppo Wagner “che hanno preso l’unica decisione giusta: non sono andati allo spargimento di sangue fratricida, si sono fermati all’ultimo”.

Il loro futuro, stando sempre alle parole (non sempre attendibili) di Putin, avrebbe diverse opzioni: andare in Bierlorussia da Lukashenko per “la risoluzione pacifica della situazione”, continuare a servire la Russia stipulando un contratto con il ministero della Difesa o altre forze dell’ordine, o tornare dalle famiglie. “La promessa che ho fatto sarà mantenuta”, ha ribadito Putin, dopo l’accordo reso noto sabato sera dal Cremlino per un’amnistia.

Ieri il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha confermato che le operazioni del gruppo Wagner, nonostante l’ammutinamento, continueranno in Mali e nella Repubblica Centrafricana. I membri di Wagner “lavorano lì come istruttori” e questo lavoro continuerà, afferma Lavrov in un’intervista all’emittente russa Russia Today, aggiungendo che la rivolta di Wagner di questo fine settimana non influirà sui legami di Mosca con “partner e amici”.

Il cardinale Zuppi a Mosca

“Si comunica che nei giorni 28 e 29 giugno 2023, il Card. Matteo Maria Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, accompagnato da un Officiale della Segreteria di Stato, compirà una visita a Mosca, quale Inviato di Papa Francesco”. Lo comunica la Santa Sede. “Scopo principale dell’iniziativa è incoraggiare gesti di umanità, che possano contribuire a favorire una soluzione alla tragica situazione attuale e trovare vie per raggiungere una giusta pace”, aggiunge.

Redazione

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