La democrazia scandinava
Il labile confine tra libertà e offesa, il corano in fiamme in Svezia e Danimarca e la disinformazione russa

È libertà di espressione bruciare una copia di un testo sacro, che sia Corano o Vangelo poco importa? Ed è libertà di espressione farlo di fronte ad ambasciate di paesi fortemente legati a quelle religioni, con un palese gesto di sfida e di provocazione?
E se questo rischia di mettere in crisi le relazioni internazionali del tuo Paese, in un quadro politico assai delicato, con una guerra alle porte e sotto i colpi di una fortissima campagna di disinformazione, può la nazione al mondo da sempre tra le prime nelle classifiche mondiali delle libertà di espressione derogare in queste circostanze a tali diritti fondamentali? In sintesi estrema ciò che sta accadendo in Svezia ed in parte anche in Danimarca pone esattamente questi quesiti.
I fatti. Da qualche anno prima in Danimarca e poi in Svezia il leader di un piccolo partito di destra estrema ed islamofobica ha iniziato a bruciare copie del corano in manifestazioni pubbliche. Le sue “gesta” sono state recentemente imitate da altri, fino ad arrivare ad un rogo orchestrato di fronte alla moschea centrale di Stoccolma, con uno schieramento di polizia imponente, autorizzato da un tribunale svedese che si era espresso contro le autorità che volevano vietarlo: quest’ultima vicenda, per la sua simbolicità, ha ovviamente scatenato (e sta scatenando ancora) molte reazioni internazionali nei paesi islamici fino ad arrivare ad un vero e proprio assalto di qualche centinaio di manifestanti a Baghdad all’ambasciata di Svezia in Iraq a giugno ed alla successiva espulsione dell’ambasciatore di Stoccolma dal Paese mediorientale.
La discussione in Svezia si protrae da oltre un mese nel dibattito pubblico. Non è cosa di poco conto: nel DNA di tutte le democrazie scandinave la questione della libertà di espressione è fondamentale e non è mai stata messa in discussione, in nessuna occasione. Anche al di fuori della Scandinavia è stata peraltro oggetto di dibattito: basti pensare alla vicenda delle vignette di Charlie Hebdo, che portarono al drammatico attentato a Parigi nel 2015 con la sua scia di 12 morti ed 11 feriti nel quartier generale della rivista satirica.
A forzare la mano (ed anche a scoperchiare ciò che c’è sotto) è stato il moderato premier svedese Ulf Hjalmar Kristersson, da un anno a capo di un governo di coalizione di centro-destra. Kristersson, nel corso dell’ultima settimana, ha più volte denunciato con grande enfasi quella che ha definito una vera e propria campagna di disinformazione orchestrata dalla Russia per impedire alla Svezia di aderire alla Nato, la cui domanda è stata finalmente accettata nell’ultimo vertice di Tallin, ma che deve avere il sì definitivo da parte di tutti gli altri stati membri ed in particolare dal Parlamento della Turchia di Erdogan.
La Russia non è certamente nuova a questo genere di attività di disinformazione. Con una ormai centenaria tradizione alle spalle e con un presidente che è stato a lungo uomo del KGB, la Russia, secondo molti osservatori internazionali, ha fortemente intensificato le sue attività di disinformazione all’estero in Africa – e vediamo in questi giorni in Niger quali sono i risultati -, in Asia, in America ed in Europa. Sì, in Europa. Perché dopo aver sfruttato con grande abilità le maglie larghe aperte dai social media nella seconda metà dello scorso decennio (Brexit, Italia e Catalogna, per citare tre esempi), oggi continua con altre modalità la sua attività in quasi tutti i paesi occidentali.
Tanto che gli allarmi in questi mesi sono arrivati dalla Francia, dalla Repubblica Ceca e dalla Slovacchia, dai Paesi nordici e dalla stessa Italia, dove il Copasir si è occupato più volte della questione ma dove, a differenza che in altri Paesi, manca un’autorità preposta a contrastarla.
In questa “guerra” della disinformazione in Scandinavia, parallela a quella reale che si combatte in Ucraina, in gioco c’è lo scacchiere geopolitico del Nord Europa. Dopo quella della Finlandia, l’adesione della Svezia all’alleanza atlantica, adesione sulla quale molti leader occidentali hanno insistito strappando faticosamente e dopo molti mesi un sì ad Erdogan, è cruciale nello scacchiere geopolitico scosso dalla guerra in corso tra la Russia e l’Ucraina, dopo l’aggressione di Putin.
La Svezia infatti, tanto più che è territorio di Stoccolma l’isola di Gotland, quella che alcuni analisti hanno definito una “portaerei inaffondabile in mezzo al Baltico”, è un crocevia importantissimo nell’unico specchio d’acqua che le navi ed i sommergibili russi possono utilizzare per controllare da San Pietroburgo e da Kaliningrad lo stesso Baltico e soprattutto i mari del nord. Con la Svezia dentro l’alleanza atlantica, la Russia sarebbe letteralmente “circondata” nel mar baltico: tutti i paesi che si affacciano infatti aderirebbero a quel punto alla NATO.
La denuncia che Kristersson ha fatto aveva nomi e cognomi: “La Svezia è attualmente obiettivo di campagne di disinformazione sostenute da Stati e da entità paragonabili a Stati, il cui scopo è danneggiare la Svezia e gli interessi svedesi”, ha scritto mercoledì sul suo profilo Instagram Ulf Kristersson, indicando esplicitamente la Russia come mandante, in Svezia e nei paesi islamici, di questa campagna.
Mentre continuano le reazioni nei paesi islamici, sobillati da Mosca e dall’Iran – attore in silenzio, ma che sicuramente sotto traccia lavora nella stessa direzione e coi medesimi interessi -, la controreazione svedese è stata netta ed ha coinvolto anche la Danimarca, paese storicamente amico di Stoccolma: è di due giorni fa una dichiarazione congiunta con la premier danese Frederiksen con la quale i due paesi si impegnano a collaborare contro la campagna di disinformazione, a rafforzare le misure di sicurezza contro il rischio “fortissimo” di attentati terroristici e di valutare insieme come riuscire a conciliare meglio libertà di espressione e di manifestazione col rispetto di ogni credenza religiosa. Da qui, il passo per vietare in futuro manifestazioni come quella del giugno scorso di fronte alla moschea di Stoccolma è davvero breve. Anche per una fiera ed inossidabile democrazia scandinava.
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