L'Istat suona la sveglia per Regione e Comune
Il lavoro c’è, mancano i lavoratori: colpa di mancata formazione e reddito di cittadinanza
Gli economisti chiamano skill mismatch la condizione di squilibrio tra la domanda e l’offerta, che si verifica sul mercato del lavoro: più semplicemente il fenomeno per il quale le imprese non riescono a trovare lavoratori in grado di svolgere le mansioni richieste e i posti disponibili restano vacanti, nonostante il datore di lavoro cerchi attivamente un candidato adatto e sia disposto a fare sforzi supplementari per trovarlo.
Gli ultimi dati pubblicati dall’Istat sull’andamento del mercato del lavoro nel secondo trimestre 2021 rivelano che il mismatch è in crescita: nonostante la disoccupazione elevata, crescono paradossalmente i posti che restano vacanti. Il tasso di posti vacanti (posizioni ricercate dalle imprese in rapporto a quelle complessive, occupate e non) è pari all’1,8% e registra un aumento dello 0,6 rispetto al trimestre precedente, un livello mai registrato dal 2016 e, in termini tendenziali, il tasso è in marcato rialzo verso un punto percentuale. Nell’industria e nei servizi si osservano tassi che si attestano all’1,6% e al 2% (nel trimestre precedente erano all’1,2% e all’1,1%). Disaggregando i dati si nota che la maggior parte dei posti vacanti si registra nelle costruzioni (2,4%), nei servizi di alloggio e ristorazione (2,3%), nei servizi di informazione e telecomunicazione (2,1%), nell’istruzione, sanità, assistenza sociale e attività artistica (1,6%) e nell’industria (1.8%).
Come leggere questi dati? Sono in atto due dinamiche. La prima è strutturale e dipende dalla cronica inadeguatezza del sistema formativo a preparare figure professionali in grado di rispondere alle esigenze delle imprese: un dato che riguarda i settori più avanzati dell’industria, dei servizi e nelle telecomunicazioni. La seconda è una tendenza congiunturale dovuta alle scelte di politica sociale adottate dai precedenti governi, in particolare il reddito di cittadinanza che ha ridotto l’offerta di lavoro per alcuni settori: in pratica, non si trovano più lavoratori disposti a essere impiegati a bassi salari e a mansioni pericolose o particolarmente gravose.
Di fronte a questi dati appare davvero necessario rafforzare il sistema di formazione professionale terziaria (Its) e l’istruzione Stem (science, technology, engineering and mathematics) che sono tra le priorità urgenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Secondo l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, l’offerta formativa complessiva (circa 80mila unità) è oggi in grado di soddisfare solo il 52% della domanda potenziale, con situazioni critiche per la meccanica, la logistica e l’edilizia. D’altra parte occorre rimodulare il reddito di cittadinanza e le altre misure di protezione sociale, inserendo specifici programmi di attivazione e di avviamento al lavoro, in modo che il sussidio sia solo una misura temporanea e non si trasformi in sostegno assistenziale permanente.
In questo percorso il ruolo delle amministrazioni comunali e regionali è decisivo: sono questi enti a costituire il braccio esecutivo delle politiche del lavoro sul territorio. Nessun programma regionale in Campania è stato ancora implementato per riformare i centri per l’impiego e i navigator, istituiti (non senza polemiche) proprio per facilitare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, sono rimasti loro malgrado del tutto inattivi. E d’altra parte neppure l’amministrazione di Napoli ha mai elaborato piani per rafforzare i percorsi di formazione, caratterizzandosi per essere del tutto assente su questi temi, nascosta dietro l’abusata retorica dell’insufficienza di risorse. Questo alibi oggi non esiste di fronte alle ingenti risorse previste dal Recovery Plan: i candidati sindaci e il governatore sono “re nudi” di fronte al problema del lavoro.
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