E’ notizia di pochi giorni fa l’approvazione in Consiglio dei Ministri della riforma Nordio sulla Giustizia che, oltre agli importanti interventi su abuso d’ufficio e intercettazioni, prevede un forte contenimento di un reato fino ad oggi strabordante come quello per “traffico di influenze”: forse uno tra i reati più vaghi del sistema Italia e che è figlio di una cultura diffusa del sospetto nei confronti della rappresentanza d’interessi, ovvero del Lobbismo, che non ha mai trovato occasione e, aggiungo, la volontà politica, di essere regolamentato, proprio come ha detto il direttore de Il Riformista Matteo Renzi dalle colonne de Il Messaggero domenica scorsa.
Come dice Renzi, non si può condannare per traffico di influenze illecite, se non si è mai regolamentato il modo in cui si può influenzare e fare pressione in maniera lecita e trasparente nei confronti del decisore pubblico. È vero, a volte gli interessi organizzati possono non avere fini nobili, ma come tutte le cose del mondo non c’è solo il risvolto negativo: anche una comunità di malati, che si organizza per fare pressione per una determinata legge è una lobby. L’associazione di categoria dei gestori di un determinato servizio nelle comunità montane può essere una lobby. Il vero tema è che il ruolo di filtro tra gli interessi particolari e le istituzioni, un tempo veniva svolto principalmente da Partiti e Sindacati, che avevano una complessità minore da gestire e una differenziazione molto più ridotta delle forze in gioco nella società.
Oggi questo non è più possibile: partiti e sindacati non riescono materialmente a presidiare tutte le voci all’interno dell’arena pubblica, sociale ed economica, e sempre di più , come parlavo nella mia tesi di laurea, c’è un rapporto inversamente proporzionale tra la crisi dei corpi intermedi e la proliferazione delle agenzie e delle figure professionali, pur non ancora riconosciute pienamente dall’ordinamento italiano, che si occupano di rappresentanza d’interessi e di lobbying, a cui si rivolgono innumerevoli aggregazioni, consorzi, gruppi organizzati, associazioni, enti, fondazioni per poter instaurare un dialogo e relazioni proficue con ogni tipo di livello istituzionale e poter, nelle sedi opportune, presentare adeguate documentazioni, elementi e dossier a sostegno di una determinata tematica o interesse organizzato.
Ne ho parlato con un giovane protagonista del settore, Riccardo Pilat, giovane lobbista e fondatore di Pilat&Partners, che si è affacciato in questo mondo come un “pesce piccolo”, un punto di vista forse tra i più interessanti per poter capire meglio il fenomeno, ma soprattutto un giovane talentuoso col quale mi onoro di darci del tu.
Perché questa scelta di vita, in una società che è stata educata alla cultura del sospetto nei confronti della parola lobby?
La volontà di intraprendere questo percorso è nata dall’intento di essere in armonia con un sistema, essere parte di un apparato aggregato e fatto di best practice, vivere da protagonista insomma il connubio che si viene a creare tra sfera pubblica e privata. Il mondo del Lobbying è una continua sfida nel costituire una joint venture per fare sistema e far andare in sincrono interessi particolari e decisore pubblico, per creare valore a disposizione del futuro dell’Italia. Un interesse che entra nell’agone pubblico influenza positivamente il sistema, dare la possibilità alla politica di capire progetti e interessi per prendere scelte consapevoli migliora la qualità della democrazia. Di questo sono convinto, e per questo ho scelto questo percorso.
La stretta sul reato di traffico di influenze è una buona notizia, ma non basta. Ritieni necessaria la regolamentazione dell’attività di lobbying & advocacy? Se sì, perché e a cosa chiederesti di porre maggiore attenzione?
Sì, è necessario, ma prima bisogna dissipare ogni tipo di ombra sul ruolo delle lobby nel sistema democratico, ed è un lavoro da fare tutti come sistema a livello culturale, per farne riconoscere il ruolo e fargli scrollare di dosso l’alone di oscurità intorno ad esse. Se non cambia l’immaginario collettivo, non produrremo mai una legge veramente efficace. La rappresentanza d’interessi è perfettamente legale in molte aree del mondo, in Europa, eppure c’è chi in politica ha usato il lobbying per agitarlo a fini di consenso.
Nel mondo del lobbying, ci sono tanti professionisti e agenzie specializzate, e le piccole realtà rappresentano interessi di natura a volte più territoriale, ma non hanno le stesse opportunità delle grandi realtà. Per avere lo stesso livello di considerazione delle grandi agenzie di lobbying ci vuole la regolamentazione, che crei uguaglianza e regole chiare per tutti e opportunità di dialogo con il decisore alla pari, democratizzando la rappresentanza d’interessi.
I Lobbisti andrebbero visti come buoni consiglieri della politica, che supportano il decisore con contenuti trasparenti. Oggi, è innegabile, c’è anche un tema legato alla commistione tra finanziatori della politica e lobbies, problema legato alla frequente coincidenza tra i finanziatori e i gruppi di interesse. La materia va assolutamente disciplinata anche alla luce di questa correlazione, ma non vanno visti in ottica eccessivamente assimilazionista: sono fenomeni diversi, che si intrecciano, ma rimangono pur sempre diversi e vanno trattati come tali.
Se dovessi suggerire alla politica la prima cosa importante da fare per migliorare questo settore è istituire un codice ATECO dedicato. So che è una proposta provocatoria, e so anche di aver parlato prima della necessità di un lavoro culturale, ma abbiamo visto nella storia del nostro Paese che, parallelamente, le leggi e le norme hanno aiutato a creare i presupposti dell’accettazione sociale di un fenomeno. Chissà che non accada lo stesso con la nostra categoria
Come e in che termini pensi possa arricchire il pluralismo e la democrazia la regolamentazione della rappresentanza d’interessi?
Ridarebbe trasparenza e consapevolezza alla politica. Oggi tutto il mondo politico lavora e viene supportato dalle lobbies: sarebbe tutto molto più chiaro per i cittadini che potrebbero scegliere delle forze politiche alla luce del sostegno e/o supporto di certe lobby anziché da altre. La politica verrebbe arricchita di competenze esterne in quanto, la virtù comune dei lobbisti, è a mio avviso conseguire equilibrio e armonia per tutto il sistema democratico.
La politica oggigiorno è costretta a portare avanti tematiche politiche astratte e facili da comunicare per strutture liquide e poco radicate sul territorio, per consentirgli di costruire facilmente consenso, e per questo motivo si perde la competenza specifica sulla moltitudine delle questioni. Bisogna quindi ascoltare tutti per prendere scelte giuste su tematiche complesse ma che incidono sulla vita delle persone, e il ruolo del lobbismo per tradurre e portare dinanzi al decisore queste conoscenze e competenze è cruciale.
Detto ciò, c’è anche un’autocritica da fare: i lobbisti devono smetterla di nascondere e mistificare le attività di lobbying e gli interessi che portano avanti per sentirsi “accettati”, perché è la precondizione per essere rispettati nel loro ruolo di agente essenziale all’interno del gioco democratico.
Le audizioni, i documenti, non sono un talk show, non è un gioco, o un contentino, ma vera e propria azione di pressione professionale. È per questo che è necessario non solo riconoscere i lobbisti in quanto tali, ma far sì che si imponga il dovere della risposta della politica, per rispetto del lavoro svolto dai rappresentanti d’interessi, ma anche per la massima trasparenza del processo decisionale a garanzia dei cittadini.
Più il lobbying si fortifica e viene irrobustito in termini di regolamentazione e riconoscimento professionale, più c’è un perimetro di controllo: se il lobbying è trasparente, tracciato e siamo tutti interconnessi, il nostro mercato diventerebbe più concorrenziale, migliorando la qualità del servizio svolto e fornendo sempre più ampie garanzie alla correttezza del processo decisionale.
Concludo dicendo che è ora di dare opportunità alla politica di comprendere che c’è una categoria di professioni moderne, chiare e differenziate che migliorano il livello della qualità del processo democratico, legislativo e governativo. Continuare a far prosperare con superficialità l’idea che i lobbisti possono far tutto e quindi creare falsi miti intorno ai ruoli, non fa altro che creare l’idea di poter usare il lobbista unicamente per creare con sotterfugio canali preferenziali per entrare in contatto con i decisori, squalificandone la professionalità.
Cosa ti aspetti, come giovane professionista del settore, nel prossimo futuro dalla Politica e dalla società? Forse un maggior riconoscimento del vostro ruolo sociale? Cosa?
Quello che io vorrei è esser visto come tutti gli altri professionisti che ruotano intorno al mondo delle istituzioni, senza discriminazioni. Che a un tavolo io non venga visto come il brutto anatroccolo, o percepito come “altro”, quasi difficile da riconoscere chi sia e complicato dargli un nome e un cognome, pur essendo indispensabile. Della serie “L’eroe che non meritiamo ma di cui abbiamo bisogno”. Questo credo sia così perché il vero lobbista genera invidia in chi gli sta intorno, dagli imprenditori ai parlamentari ecc., perché è un professionista autenticamente libero e indipendente, ed è per questo che ne viene mistificato il ruolo.
Esser semplicemente come tutti, ed esser riconosciuto per quello che in fondo sono: un piccolo ingranaggio in un sistema più grande e armonico che è la nostra democrazia.