Continuo a ritenere Matteo Renzi un politico intelligente e capace, però lui dovrebbe rispettare l’intelligenza del prossimo. In una delle sue ultime newsletter, dopo aver ribadito in premessa di non essere un influencer ma un politico che indica prospettive, percorre sentieri stretti, ci mette la faccia e rischia… bene, dopo tutta questa esibizione di muscoli, ha detto che è il momento di tornare a casa per riaccucciarsi tra le braccia sinuose e accoglienti del Pd, perché “il fallimento del Terzo Polo ha spalancato le porte del bipolarismo”.

Il bipolarismo e Calenda sempre colpevole

E dunque, d’ora in avanti, bisognerà costruire – sotto la direzione di Elly Schlein, con il beneplacito di Conte, Fratoianni e compagnia bella – una vasta e variopinta alleanza che prima o poi caccerà la Meloni dal governo: questa è la prospettiva che l’intrepido condottiero indica al suo partito, uscito piuttosto malconcio dall’ultimo voto.
Ma fin qui siamo a cose di giornata, roba buona per dibattiti ombelicali su scadenze congressuali, regole ribaltate un giorno sì e l’altro pure, sempre agitando il drappo rosso del povero Calenda, colpevole di ogni malefatta. Mentre andrebbe preso di petto e approfondito seriamente il solo punto politico del ragionamento renziano: “il fallimento del Terzo Polo ha spalancato le porte al bipolarismo”.

Il suicidio dei galli cedroni

Non è così. L’assunto è del tutto falso, e rovescia la realtà. Senza il suicidio dei due galli cedroni, con le europee una strada per il Terzo Polo italiano si sarebbe aperta; così come accade altrove, persino in sistemi storicamente bipolari, dove varie formazioni moderate reclamano rappresentanza e la ottengono, anche fuori dai blocchi consolidati.
Figuriamoci se uno spazio non può crearsi da noi, dove il cosiddetto bipolarismo ce lo siamo inventati 30 anni solo sull’onda del golpe mediatico-giudiziario di Mani Pulite, per rispondere frettolosamente al crollo dei partiti della Prima Repubblica e arginare – ovviamente finendo per aumentarle – le prime pulsioni populistiche.

Renzi non prenda in giro il prossimo

Il tutto senza mai concepire – o realizzare, perché qualche tentativo fallito c’è stato, non è vero Matteo? – un disegno organico di riforma delle istituzioni, anzi privatizzando progressivamente il sistema politico e sequestrando la stessa rappresentanza popolare, ormai affidata arbitrariamente agli equilibri di ristrettissime consorterie di partito.
Il Matteo Renzi di una volta, quello che voleva cambiare l’Italia, avrebbe dovuto ribaltare il suo assunto e dire: un finto bipolarismo impedisce ai moderati di trovare casa, ma non demordiamo. Avrebbe dovuto mettere al centro non il rientro nella ditta allargata con la coda tra le gambe, ma una tenace battaglia – certo di lungo periodo – per scardinare il sistema, per riuscire prima o poi a rinnovarlo.
Si capisce che non ne ha più voglia, e nessuno gliene fa una colpa. Ma non prenda in giro il prossimo.