Fissare i punti fermi prima che il ciclone dossier si porti via il bambino insieme all’acqua sporca. Dove “l’acqua sporca” è l’uso illegittimo delle banche dati investigative compulsate per orientare indagini e inchieste giornalistiche che in mezzo a qualche verità per lo più ottengono di “far fuori” politicamente il “bersaglio” di turno, un politico magari alle prese con il lancio di un nuovo partito, un sindaco, un imprenditore, il presidente di una squadra di calcio, un artista o un calciatore.

Il “bambino” è il sacrosanto diritto/ dovere all’informazione purché le notizie siano vere e non usate strumentalmente. Unico limite invalicabile è la sicurezza dello Stato. “La libertà d’informazione va sempre tutelata purché rispetti la lealtà e i fatti” ha detto ieri il Presidente della Repubblica. I punti fermi, quindi, in attesa di ulteriori sviluppi. Oggi e domani il procuratore di Perugia Raffaele Cantone e il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo saranno ascoltati dal Parlamento – prima in Antimafia e poi dal Copasir – per spiegare l’inchiesta.

“Per fornire quegli elementi utili e divulgabili necessari per evitare le banalizzazioni della serie è solo una cialtronata e anche le drammatizzazioni come evocare atti eversivi” filtra dagli uffici giudiziari titolari dell’inchiesta. Informare il Parlamento perché ciascuno possa farsi il proprio convincimento. L’altro punto che sarà messo sul tavolo è la fragilità delle banche dati, “fondamentali e necessarie all’attività d’indagine ma per quanto siano tutte logate (l’accesso è possibile solo con credenziali private e quindi tracciabili, ndr) ancora troppo fragili”.

Utile sarebbe ad esempio prevedere un sistema di monitoraggio degli accessi tale per cui scatta un alert quando la stessa persona ne esegue troppi. Quando il tenente della Guardia di Finanza in servizio alla Dna Pasquale Striano ha eseguito 45 accessi in un giorno, il sistema doveva segnarlo e Striano spiegare cosa stava facendo. Un altro punto fermo, per quanto è possibile ricostruire dall’invito a comparire di 86 pagine ma che è diverso per ciascuno dei quindici indagati, è il “metodo Striano”.

Sessanta anni, abile smanettatore di banche dati, sappiamo che il finanziere ha eseguito 800 accessi tra il 2019 e la fine del 2022 (quando il ministro Crosetto ha denunciato in procura a Roma la fuga di notizie riservate sul suo conto). Sappiamo che sono almeno 300 (ma il numero è più alto) gli accessi abusivi, cioè eseguiti per iniziativa personale o su richiesta specifica degli otto giornalisti indagati (non solo i tre giudiziari de Il Domani). Da quanto emerge si nota che le richieste di informazioni avvenivano sempre in momenti chiave nella vita dei bersagli. Crosetto stava per diventare ministro così come gli altri politici di centrodestra attenzionati mentre stava per nascere il governo Meloni: 27 della Lega, 14 di Fratelli d’Italia, 10 di Forza Italia e una manciata di centristi.

Matteo Renzi aveva appena lasciato il Pd, fondato Italia viva e, guarda caso, dopo due mesi è arrivata l’inchiesta Open con alcuni giornali sempre ben informati su Sos e movimenti bancari (la procura di Firenze ha archiviato l’indagine per fuga di notizie nel senso che Crosetto ministro è riuscito ad arrivare in fondo, Renzi solo senatore no).

Il sindaco di Venezia Brugnaro anche lui attenzionato mentre fondava il suo partito. La stessa cosa è successa a Giovanni Toti e al sindaco di Palermo Lagalla. Nel mirino del “metodo Striano” sono finiti i fratelli Beretta, Pietro e Franco, presidente e ad dell’omonima fabbrica di armi. La banca dati Siva (dati dell’agenzia delle entrate) viene interpellata il 7 febbraio 2022, quando i venti di guerra tra Russia e Ucraina sono già una realtà. Gli accessi, in cerca di info utili a capire se ci sono movimenti di merci e soldi, si ripetono a luglio dello stesso anno e riguardano anche Pietro Fiocchi, europarlamentare della Lega nonché manager dell’azienda di famiglia che produce munizioni.

In quegli stessi giorni iniziano anche gli accessi su Guido Crosetto, all’epoca non ancora ministro ma a capo dell’Aiad, la Confindustria di chi produce armi. Il metodo Striano è lo stesso che muove l’interesse a frugare nel privato dell’allora capo della Figc Gabriele Gravina. Questa volta il metodo si arricchisce di un passaggio, non solo accessi abusivi ma anche “atti d’impulso” a questo sospetti come le confidenze di un amico del patron della Lazio Claudio Lotito che sussurrava al Pm Laudati (indagato con Striano) “certi affari” di Gravina. Le informazioni diventano atti d’impulso e in effetti esiste un fascicolo in procura sull’ex presidente della Figc. Il problema è che tutto nascerebbe dal fatto che Gravina aveva costretto Lotito a venere la Salernitana.

Ritroviamo analogo metodo anche nei confronti di monsignor Giovanni D’Ercole, ex vescovo dell’Aquila ai tempi del terremoto, volto noto come conduttore Rai della Rai fino al 2020 quando si ritira in un monastero in Marocco. L’attività di spionaggio, sulla banca dati Siva, risale proprio a quei mesi: Striano ricerca operazioni sospette. Stesso trattamento per Paolo Piccinelli, ex comandante dei carabinieri di Perugia fino al 2017, poi diventato avvocato e criminologo una volta lasciata l’Arma. L’accesso nei suoi confronti avviene il 3 marzo 2020 in coincidenza dell’avvio per Piccinelli di una collaborazione con la Rai sulle misure di prevenzione e contenimento del Covid. Sono solo alcuni esempi. Altri ne verranno fuori leggendo nuovi atti nei prossimi giorni.

Qual è il filo rosso che lega queste indagini abusive? La curiosità e il protagonismo rispetto alla cronaca battente? La volontà di condizionare l’attualità politica? Finanche la formazione del governo? Sono ipotesi la cui gravità è completamente diversa. Per ora sappiamo che i reati a vario titolo contestati sono quattro: accesso abusivo, falso ideologico, abuso d’ufficio e rivelazione di segreto. Non c’è la corruzione, né altro che abbia a che fare con l’eversione. La procura di Perugia valutato l’ipotesi di un mandante rispetto al quale Striano sarebbe l’esecutore. E vaglia anche vari moventi. Ma i punti fermi per ora sono questi.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.