Il nostro Paolo Comi oggi ci fornisce una notizia straordinaria che trovate, con tutti i dettagli, sul nostro giornale: non è vero che il trojan che registrava tutte le conversazioni del magistrato Luca Palamara fu spento – per errore o per malizia – la sera della cena al ristorante “Mamma Angelina”, alla quale parteciparono lo stesso Palamara, il procuratore uscente di Roma Giuseppe Pignatone e un paio di alti magistrati. Il trojan funzionò, e dunque da qualche parte deve esserci il file con quella registrazione. È un file importantissimo per capire il “sistema” e chi guidò le nomine al vertice della magistratura, e come le guidò, e quanto lecitamente.

Siccome tutto il mondo della magistratura, della politica e del giornalismo si è mobilitato per la cena all’Hotel Champagne – quella con un paio di deputati del Pd, nel corso della quale si discusse della nomina del successore di Pignatone – e siccome quella cena è il cuore del caso Palamara, è lo scandalo degli scandali (e per quella cena, di fatto, Palamara è stato espulso dalla magistratura, e il povero Procuratore generale di Firenze, Viola, che non c’entrava niente, escluso dalle candidature alla Procura di Roma) sembra una cosa strana che ora non ci si interessi alla cena da “Mamma Angelina”. E soprattutto – se l’ipotesi del file sparito dovesse essere confermata – comincia a diventare urgentissima l’apertura di una inchiesta – di una vera inchiesta – su tutte le manigoldate denunciate nel libro di Alessandro Sallusti e Luca Palamara.

Ogni giorno che passa risulta sempre più evidente che la pretesa di chiudere il caso Palamara con la sua cacciata, mentre tutte le informazioni pubbliche (anche se ignorate dai giornali) dimostrano che sono decine e decine i magistrati (e gli alti magistrati) coinvolti nello scandalo, è una pretesa assurda e offensiva nei confronti non dico della legalità ma addirittura del buonsenso. La magistratura si è chiusa a riccio, spalleggiata dal grosso del giornalismo giudiziario. “Io non vedo, io non sento, io è meglio che non parlo”, come le tre scimmiette. Prendete lo scandalo denunciato domenica scorsa dalla trasmissione di Giletti su La7: il più importante esponente del giornalismo giudiziario italiano andò da Palamara ad avvertirlo che era aperta una inchiesta su di lui.

Palamara non sapeva niente, quindi il segreto fu violato da qualcuno in Procura, il giornalista sapeva (quindi è vero che tra partito dei Pm e giornalismo giudiziario è scattata ormai la fusione: più la fusione che una semplice alleanza), lo stesso giornalista non scrisse subito la notizia in suo possesso ma aspettò che la commissione del Csm votasse sui nomi dei possibili candidati alla procura di Roma. Poi uscì con la notizia (ancora segreta) della indagine su Palamara in contemporanea con altri due giornali e con articoli praticamente fotocopia. Beh, questa rivelazione di Giletti, supportata dalla messa in onda dell’audio del colloquio tra il giornalista e il Pm, non è stata pubblicata dalla gran parte dei giornali italiani. Non è stata considerata degna di nota.

Provate un momento a immaginare cosa sarebbe successo se una notizia del genere avesse riguardato, anziché un giornalista giudiziario, un politico. Per esempio Renzi. Quanti titoli in prima pagina? Con che toni? Quante inchieste sarebbero state immediatamente aperte dalla magistratura? Ecco, ora sta per succedere più o meno la stessa cosa con l’affare del trojan spento o non spento. Vedrete che i giornali non saranno molto interessati. Quasi tutti ignoreranno. La Guardia di finanza, forse, per qualche ragione che non conosciamo, ha scartato l’intercettazione nella quale era coinvolto Pignatone? Diciamo che quantomeno la cosa andrebbe accertata. E invece è probabile che sarà steso un nuovo velo di silenzio. Come per tutte le “bombe” sganciate da Palamara con il suo libro.

Le bombe del caso-Palamara sono false? Beh, al momento non si ha notizia neppure di una querela. Nessuno – proprio nessuno – dei magistrati dei quali Palamara ha raccontato comportamenti certamente non commendevoli, ha smentito o si è rivolto all’autorità giudiziaria per diffamazione o calunnia. E allora come facciamo a pensare che Palamara abbia scritto cose non vere? Ora il problema è quello dell’auto-assoluzione collettiva. La Procura generale della Cassazione ha già stabilito che i magistrati possono auto-promuoversi. E dunque – in sostanza – ha pienamente assolto il sistema Palamara, dichiarandolo legittimo, e di conseguenza assicurando che tutto funziona a puntino, all’interno della magistratura, tranne le birichinate di Palamara.

La realtà è evidentemente opposta: il caso Palamara dimostra che la magistratura – come in qualche modo ha detto anche il presidente della Repubblica, almeno in due occasioni – ha perduto gran parte della sua credibilità. E probabilmente il grado di politicizzazione e di correntocrazia che ha determinato in questi anni tutti gli assetti della magistratura, ha avuto conseguenze gravi e distorsive su moltissime inchieste e molti processi. E allora? Rinunciamo ad avere delle risposte? Ci accontentiamo di una magistratura priva di credibilità, di autorità giuridica e morale?

L’unica persona che può riaprire il caso è la ministra. Lei ha il potere di disporre le indagini disciplinari su tutti i magistrati chiamati in causa da Palamara (e chiamati in causa con l’offerta di molti riscontri). Deve farlo. Altrimenti il prezzo che nei prossimi anni pagherà lo Stato di diritto sarà incalcolabile. Lo faccia, dottoressa Cartabia, lo faccia subito: adoperi il potere che la Costituzione le assegna.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.