Ha aspettato che il ministro economico Giancarlo Giorgetti terminasse l’audizione alla Camera. A sorpresa il titolare del Mef ha accettato di rispondere non solo sulla manovra ma anche su Mes e Patto di stabilità e crescita, temi tabù fino alle 14 di ieri. Alle 16 il ministro aveva terminato il suo crudo resoconto (“dovremo essere disciplinati e rispettare le regole, il nostro problema sarà la disciplina e non la presunta austerity imposta dalla regole”) e a quel punto palazzo Chigi ha fatto uscire due righe secche di comunicato: “La tradizionale conferenza stampa di fine anno del presidente del Consiglio è rinviata a data da stabilire”. Probabilmente l’assalto di domande cui Giorgetti è stato sottoposto nell’audizione alla Camera, deve aver convinto la premier Meloni che oggi le sarebbe toccato lo stesso trattamento e le risposte non potevano, nella sostanza, essere diverse: rispettare le nuove regole fiscali e di bilancio, certo, ma siccome è molto difficile, le politiche di bilancio di questo paese sono nei fatti consegnate a Bruxelles. Un confronto che la premier deve aver giudicato insostenibile. Non era mai successo.

Poi ovviamente c’è la versione ufficiale: “Per una leggera influenza la Presidente Meloni deve rinviare la conferenza stampa”. Questa volta non si fa neppure lo sforzo di prevedere una nuova data. Premier che non parla in pubblico dal 18 dicembre, ed era il palco amico di Atreju. In questi dieci giorni tra Mes, Patto di Stabilità e crescita, Patto per l’immigrazione, l’Europa è cambiata – si può dire – con una velocità inattesa. Ma il Paese non ha potuto ascoltare la versione del Capo del governo. Non si sa se Giorgetti, rispondendo anche su Mes e Patto di stabilità, abbia accettato di fare da cavia, una sorta di simulazione per stamani. In ogni caso pur con la consueta schiettezza il titolare del Mef non ha convinto del tutto. Non poteva farlo visto che il primo ad avere dubbi e remore è proprio lui.

Le opposizioni, da Marattin (Iv) a Cecilia Guerra e Pagano (entrambi Pd), da Della Vedova (+Europa) a Grimaldi (Sinistra e Verdi), hanno insistito seppure con toni diversi su alcuni nodi fondamentali: tra pochi mesi sarà necessaria una manovra correttiva; dove troveremo i soldi per coprirla; dove troveremo i soldi il prossimo anno per confermare il taglio del cuneo fiscale; firmando il Patto ci siamo consegnati mani e piedi a Bruxelles che nei fatti scriverà le nostre prossime leggi di bilancio. Giorgetti ha chiarito che le nuove regole entreranno in vigore “nel 2025 e che quindi non è prevista una manovra correttiva. Ha aggiunto che “nessuno ha festeggiato” per la firma del Patto di stabilità (in realtà dovrebbe rivedere le dichiarazioni di molti parlamentari di Fdi in quelle ore, ndr) perché si tratta di “un compromesso che andrà valutato nel tempo”.

Il Mes, infine: “Non ho mai detto ai colleghi europei che lo avremmo ratificato. Io non mento e dico sempre le stesse cose qui, in sede di governo e in sede europea. Su questo ho letto cose false. Io ho sempre rappresentato le difficoltà che si sono nella maggioranza e nelle opposizioni. Mi scuseranno gli amici 5 Stelle se ho così anticipato quello che sarebbe stato il loro voto. Ho solo detto che non sarebbe stato più accettabile un nuovo rinvio. E così il Parlamento si è espresso”. Tutto ciò premesso, il Mes “non è né la causa né la soluzione ai problemi dell’Italia perché sul banco degli imputati c’è soprattutto il nostro debito che deve essere tenuto sotto controllo specie dopo quattro anni che io definisco psichedelici perché abbiamo ignorato il debito e il deficit”. Per Giorgetti sembra questa la priorità: “Uscire con coraggio dalla fase in cui ci siamo assuefatti a questo Lsd che abbiamo preso per 4 anni per cui abbiamo fatto deficit e scostamenti come se nulla fosse. Ora dobbiamo eliminare punto per punto misure che non ci possiamo permettere”.

In Commissione, al banco del governo, lo ascoltavano il viceministro Maurizio Leo e i sottosegretari Federico Freni e Lucia Albano.
Sul Patto di Stabilità Giorgetti ha chiarito di “non avere alcuna voglia di festeggiare” e però “mi sono preso la responsabilità di accettare un accordo invece di mettere il veto e tornare al vecchio Patto che sarebbe stato peggiorativo per noi”. È vero, a forza di aggiungere – lo ha fatto ogni paese per giungere al compromesso – “abbiamo creato un caos totale di clausole. La Commissione ogni anno farà una valutazione su misura su ogni paese sapendo che i criteri cambiano e cambieranno in continuazione”. Il problema, ha aggiunto, “non è l’austerità ma la disciplina, cioè la capacità per chi fa politica di rispettare le regole e gli impegni presi e di assumere decisioni anche se impopolari”.

Parole che dicono e non dicono. E che non convincono le opposizioni. Il ministro insiste che non ci sarà bisogno di una manovra correttiva perchè le nuove regole saranno in vigore dal 2025. “Eppure entrano in vigore a giugno, dopo il voto, e solo per il rientro del debito, stando alle nuove regole, avremo bisogno di una cifra tra i 15 e i 17 miliardi” commentano Guerra e Marattin. Per Stefano Patuanelli (M5s) “la sequenza di parole usata dal ministro è agghiacciante: ‘un compromesso peggiore della proposta iniziale della Commissione’, un ‘caos totale’, un ‘sistema di regole che rischia di diventare prociclico’. Espressioni che fotografano i il totale fallimento della strategia negoziale europea del Governo, certificandone subalternità e irrilevanza. Questo disastro imporrà al Paese tagli e tasse negli anni a venire”. Tutti i gruppi di opposizione, compreso Calenda (Azione) insistono con le dimissioni di un ministro “che oggi è sembrato un passante”. La verità è che Giorgetti ha fatto Giorgetti: un uomo di numeri che ha risposto con i numeri che rivelano tutta l’incertezza nelle conseguenze del nuovo Patto di stabilità. E la constatazione che qualunque altra cosa sarebbe stata peggiore.

Il testo della manovra oggi arriva in aula. Meloni non ci sarà, non risponderà ai giornalisti, ci sarà però il Consiglio dei Ministri. Il clima in maggioranza è pessimo. Forza Italia è in rivolta. Una parte non ha gradito la linea Tajani che ha portato all’astensione sul Mes che invece doveva essere votato. Un’altra parte del partito insiste sulla proroga del bonus edilizio 110%. Giorgetti dice e ripete che non ci sono soldi. Se dovesse essere sfiduciato un’altra volta – magari nel Mille proroghe – la sua permanenza al governo si farebbe problematica.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.