Il ricordo
Alejandro Agag: “Il ricordo del mio amico Silvio, di Gianni Agnelli e l’ingresso nel PPE”. Buon viaggio Presidente
Per un giovane spagnolo, membro del Parlamento Europeo, ricevere una chiamata dall’ufficio dell’avvocato Gianni Agnelli, fu un momento davvero incredibile ed emozionante. Agnelli per me è sempre stato un’icona. Ha rappresentato l’imprenditoria e lo stile dell’Italia, un Paese che ho sempre amato. «L’avvocato vuole incontrarti», fu questo il breve messaggio che mi disse la sua segretaria. Cancellai immediatamente tutti gli impegni che avevo in agenda, organizzai il viaggio e con il collega Walter Gabronsky andammo a Torino. Durante i giorni che mi dividevano dall’incontro, mi chiedevo continuamente: «Perché l’Avvocato vuole vedermi?».E quel giorno arrivó.
Era il maggio del 2001 ed io ero un politico 30enne alle prime armi. Qualche anno prima ero stato eletto Segretario del partito popolare europeo. Il PPE era ai tempi molto forte in Europa, contendendo i partiti di centro destra di tutto il continente. Arrivai allo storico ‘Lingotto’, famoso quartier generale del gruppo FIAT e fui accompagnato direttamente presso l’ufficio dell’Avvocato. Quello fu uno dei momenti più importanti, seppur breve, della mia vita. L’Avvocato era un uomo di grande carisma. Fu estremamente educato, mi chiamò «Caro Segretario», con quel modo speciale di pronunciare la ‘r’ che soltanto lui aveva. Egli andò subito al punto: «Tutti i membri del PPE, in particolare tedeschi e spagnoli, sostengono Berlusconi?». La mia risposta fu altrettanto diretta e inequivocabile: «Il nostro appoggio a Berlusconi è solido come una roccia. Noi lo sosterremo in ogni modo». E così andò. L’incontro terminò in poco tempo. Mi aspettavo di essere congedato in modo rapido ed educato. Immaginavo che l’Avvocato dovesse tornare ai suoi affari. Invece, iniziò una piacevole e lunga conversazione sul mio paese, la Spagna. Parlammo per ore. Scoprii che Agnelli amava la Spagna come io amo l’Italia. Parte della chiacchierata fu incentrato sulla figura di Francisco Franco. L’Avvocato mi raccontò che dopo aver parlato più volte con il Caudillo, la FIAT decise di produrre un’auto diversa: nacque così la 600 che molti spagnoli corsero ad acquistare, mia madre inclusa.
Quando lasciai il suo ufficio per andare all’aeroporto, la prima telefonata che feci fu a Silvio Berlusconi. Prima di andare a Torino lo avevo già avvisato che avrei incontrato Agnelli, al telefono lo aggiornai sull’esito dell’incontro e gli raccontai la conversazione avuta con l’Avvocato. Per contestualizzare quel momento, bisogna ricordare che l’Italia era immersa in un’aspra campagna elettorale, con Berlusconi dato in vantaggio dai sondaggi. Gran parte della stampa estera montò una campagna molto aggressiva, fra chi si interrogava sulle reali possibilità di Berlusconi di essere eletto e chi lo riteneva incapace di governare. In particolare ricordo che The Economist titolò: «È pronto per essere primo ministro?».
Il giorno dopo il mio incontro con l’Avvocato lessi con piacere che Agnelli rilasciò un’intervista a Il Corriere della Sera. Il titolo principale, scritto a caratteri cubitali, fu: «L’Italia non è la Repubblica delle Banane». Fu un chiaro messaggio alla stampa estera: non interferite, l’Italia è in grado di eleggere i propri rappresentanti, i propri leader. Il mio rapporto con Berlusconi era nato anni prima. Quando fui eletto Segretario del PPE, fui incaricato da due grandi leader dell’epoca, Jose Maria Aznar ed Helmut Kohl, di seguire il “Dossier Italia”.
Il nostro obiettivo era quello di battere i socialisti e diventare la forza politica di maggioranza in Europa. Per questo avevamo bisogno di un alleato forte, l’Italia. E il nostro alleato era Silvio Berlusconi. Più facile a dirsi che a farsi. Storicamente la Democrazia Cristiana è stata uno dei pilastri del PPE, fino al dissolvimento e alla balcanizzazione in tanti piccoli partiti. Alcuni sostennero coalizioni di sinistra. La maggioranza dei voti e degli elettori della Dc ‘migrarono’ verso lo schieramento guidato da Berlusconi.
Nonostante il suo ridimensionamento, l’influenza dei post e piccoli partiti democristiani, fu molto importante per la struttura elettorale del PPE. Ci fu un lungo e certosino lavoro affinché supportassero l’ingresso di Forza Italia. Fui molto fortunato, ai tempi, ad avere l’ aiuto di Pier Ferdinando Casini, che era all’epoca il leader dell’UDC, uno dei tanti partiti nati dalla fine della DC. Durante quei mesi ebbi l’onore di incontrare personalità come quelle di Giulio Andreotti, Francesco Cossiga, Franco Marini, Rocco Buttiglione e Clemente Mastella. Ad alcuni piacevo, ad altri non molto ma alla fine la ‘realpolitik’ vinse. Ma per me la chiave dell’ingresso di Forza Italia nel PPE, fppu la consapevolezza che Silvio Berlusconi aveva di se stesso. Il Cavaliere aveva una chiara visione del suo partito e dell’Italia. Per lui FI doveva far parte dello schieramento più grande e forte che c’era in Europa. Berlusconi attirò per questo la rabbia di altri partiti Cristiani Democratici europei, come quello tedesco e belga. Ma ciò non scalfì la sua determinazione. Ricordo ancora la sua felicità quando Forza Italia fu ammessa nel PPE. Lui sapeva bene che quello sarebbe stato uno step decisivo per il suo partito, un momento fondamentale per la sua caratura di leader internazionale.
In quegli anni ebbi la fortuna non solo di conoscerlo ma anche di diventarne amico. Fu uno dei più grandi privilegi della mia vita. Berlusconi è stata una persona difficile da descrivere: generoso, divertente, intelligente. Un grande uomo. Mi mancano le cene a base di pasta con i tre colori: rosso, verde e bianco. Ma anche le sue battute, le sue domande e le sue canzoni con Apicella. Buon viaggio Presidente.
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