Milano. 11 di mattina. Aeroporto di Linate. Imbarco del volo per Ibiza. Calca. L’assistente di volo mi chiede carta d’imbarco e documento. Io sono di pessimo umore, e ho un trolley bagaglio a mano e tre racchette sotto braccio, legate insieme da due polsini blu. Niente fodero, niente borsone. Dietro di me sento due persone commentare: “Guarda che buffo questo modo di tenere le racchette”.
Con la coda dell’occhio scorgo solo una ragazza di carnagione scura. Mi sembra bella. Distinta. Ma faccio finta di nulla e continuo le operazioni di imbarco. Finché non mi sento bussare sulla spalla, e dire, in inglese: “Originale, elegante, questo modo di portare le racchette”. Nel girarmi penso: “Ecco il solito inglese che dice na cazzata simpatica, ora faccio un sorriso di circostanza e tiro dritto”. Ma appena giratomi metto a fuoco il viso di chi parla e resto stupefatto. Un signore in t-shirt e jeans mi guarda dritto negli occhi, e sorride, è Boris Becker, il mio idolo assoluto da ragazzo. Io scoppio a ridere, incredulo. Tutti quelli che assistono alla scena, ridono. “Boris…!” e lo abbraccio. Io improvvisamente bambino, lui divertito dalla mia reazione. Ricordo come fosse oggi, perché tanto tifavo per lui che piangevo, io disperato, quando nel luglio del 1990 perse la finale di Wimbledon con Stefan Edberg nel giorno in cu la Germania sfidava l’Argentina a Roma nella finale dei Mondiali che avrebbe dovuto giocare l’Italia: alle 17 ora italiana piangeva seduto sulla sua sedia a bordo campo del Centre Court a Londra, e poche ore dopo era sugli spalti a Roma a tifare per la sua nazionale. Perché lui era il simbolo giovane, coraggioso e spavaldo della Germania che tornava a vincere dopo la riunificazione, e grazie a un tennis spettacolare era diventato un personaggio planetario che la stessa Germania offriva al mondo.

Boris Becker è stato il mito di una generazione: il più giovane vincitore di Wimbledon di tutti i tempi, da minorenne, i suoi tuffi, la sua potenza ma anche il suo tocco, i capelli rossi che smacchiavano il giaguaro Ivan Lendl al termine di duelli in cui Becker era il coraggioso rottamatore e Lendl il dinosauro fortissimo da pensionare a colpi di serve and volley, ma anche il personaggio esuberante e allo stesso tempo educato, sfrontato ma appropriato al tempo stesso. Veramente un bel tipo, oltre che un giocatore entusiasmante, il cui modo di giocare a tennis (ma questo vale per tutti) illustrava perfettamente la sua personalità.
Eppure quel figlio della nuova, ritrovata Germania di cui era icona, avrebbe avuto il coraggio, pochi mesi dopo, fidanzato con Barbara Feltus, splendida modella di colore, di sfidare la sua nazione, quella di cui era idolo assoluto, e il pregiudizio che annusava, dicendo a chiare lettere: “Ragazzi, se la mia compagna non vi va bene per il colore della pelle, io vi saluto e vado a vivere a Londra”. Tradotto: crescete. Quando lessi le sue parole, ricordo di aver pensato: “Questo ragazzo ha personalità da vendere. È un vero leader”. Perché per me è cosi: se hai personalità e carattere ascolti tutti ma non ti fai condizionare da nessuno, e non hai alcun imbarazzo a fare le tue motivate scelte e a rivendicarle se qualcuno le discute. Ebbene, appena realizzato che il mio idolo mi aveva rivolto un complimento, gli dico: “Scusami, ma devo immortalare questo momento”.

E lui simpaticissimo si presta a una foto che campeggia sul mio profilo Instagram accanto a quella con il suo erede nella mia galleria dei preferiti: Roger Federer (che in volo Becker mi confesserà ritenere il migliore di sempre, malgrado Boris sia stato sulla panchina di Djokovic nelle finali di Wimbledon che noi Federeriani ricordiamo con tristezza assoluta). Seguono chiacchiere e risate (lui è simpaticissimo e alla mano, come tutte le persone intelligenti, che conoscono la vita). Gli chiedo come stia, visto che è appena uscito dal carcere londinese dove è stato recluso per otto mesi a causa di una controversa condanna per bancarotta. E lui con fare sicuro e sereno, disteso e deciso, mi dice convinto: “Sto bene”. So che ha dichiarato a Bbc che il carcere richiede carattere e personalità per sopravvivergli, e ha ragione, che devi farti amici quelli duri che possano proteggerti, e ha ragione di nuovo, percepisco che non si vergogni di aver sbagliato e di aver saldato il conto con la giustizia. Mi chiede di dare un’occhiata alle racchette, io ovviamente gli porgo le mie Wilson Pro Staff, lui poggia una mano sulle corde, mi guarda e fa: “Tese a 19, giochi potente, eh…?”. Vero. “Molto bene…” mi fa lui, ricordando le sue racchette di un tempo, così diverse.

Gli chiedo dove viva ora, e lui mi dice: “Milano”, indicando la sua compagna, una bella ragazza italiana che ha studiato a Roma e a Londra, e che si rammarica di quanto Roma, così bella, non riesca a raggiungere i livelli di vivibilità di Milano, che Boris qualifica come una “big town” in cui si sta bene e si possono fare diverse cose, compreso giocare a tennis al circolo tennis Bonfiglio. “L’Italia è un posto straordinario” mi dice, promettendo che imparerà l’italiano. Io annuisco e rilancio: “E non sai quanto potrebbe essere ancora migliore se adottassimo un’altra mentalità”.
“E poi c’è sempre l’aeroporto per volare su Ibiza quando vuoi, no?” dice sorridendo, mentre si appresta a passare alcune settimane alle Baleari, appena sceso da un volo di linea passato a fare selfie con persone entusiaste di avere tra loro un idolo che ha segnato un’era e che oggi appare un cittadino pacificato. Perché è questo quel che mi ha colpito di lui, e che però un po’ mi attendevo. È un uomo molto sereno, ha grande carisma naturale, propone quel che pensa in maniera decisa ma gentile. Proprio un bel tipo, il mio idolo Bum Bum Becker. Benvenuto in Italia. Chissà, magari ci rincontreremo a Milano. Di sicuro, lui non passerà inosservato, e gli italiani apprezzeranno la sua eleganza e la sua sicurezza. Roba ormai rara, di cui Boris è portatore naturale. E sano.