Toghe e stampa
Il missile con cui Gherardo Colombo affondò la Bicamerale
Tremila giorni dopo l’inizio di Tangentopoli e Mani Pulite il pool di Milano sferrò la propria guerra lampo dei dodici giorni che segnerà la morte della Bicamerale e il sogno di Massimo D’Alema di passare alla storia come lo statista che, con la riforma della Costituzione, aveva di fatto inaugurato la Seconda repubblica. I giornali protagonisti furono due: il Corriere della sera e un periodico militante, Micromega, diretto da Paolo Flores d’Arcais, una sorta di antenato del Fatto quotidiano. Quel 22 febbraio 1998, era domenica, Micromega aveva indetto un convegno sulla giustizia, ospite d’onore Gherardo Colombo, uno degli uomini del pool di Milano. Il suo arrivo fu annunciato dagli squilli di tromba di un’intervista da lui rilasciata a Giuseppe D’Avanzo del Corriere della sera e che opportunamente uscì proprio quel giorno. Di nuovo il Corriere, di nuovo in esclusiva, di nuovo un pugno in faccia. Non più a Berlusconi, ormai a Palazzo Chigi c’era Romano Prodi e al governo gli uomini di quel partito, il Pci-Pds che il pool di Milano aveva sostanzialmente salvato dalla slavina di Tangentopoli.
Ecco perché ci fu grande stupore nel leggere titolo e testo di quell’intervista. Sopra le sei colonne il titolo era molto chiaro: “Le riforme ispirate dalla società del ricatto”. La tesi altrettanto esplicita: la storia d’Italia è storia criminale e la società italiana è corrotta. «Negli ultimi vent’anni la storia della nostra repubblica è una storia di accordi sottobanco e patti occulti. L’Italia la si può raccontare a partire da una parola, ricatto». Segue la più tradizionale impostazione da Stato etico, in cui è pura solo la magistratura, la cui indipendenza “qualcuno” vuol mettere in discussione. Il ragionamento si conclude con un’esplicita minaccia a coloro che avevano avuto il salvacondotto negli anni di Mani Pulite. Della società della corruzione, ricorda Colombo «abbiamo solo scalfito la crosta». Conclusione? Non fate riforme, perché un assaggio di manette è pronto anche per voi. L’allarme coinvolse subito tutte le istituzioni fino ai più alti livelli. Nessuno pensò neppure per un attimo che l’iniziativa di Colombo fosse stata determinata da una qualche personale carenza di visibilità o da uno sfogo emotivo, e neanche che fosse stata un’iniziativa individuale. Reagirono tutti, qualcuno forse anche sotto la regia del presidente Scalfaro. I presidenti di Camera e Senato, Violante e Mancino, resero pubblico un messaggio congiunto in cui accusavano il pm di voler delegittimare l’intero Parlamento e anche di non aiutare la Bicamerale a trovare «gli strumenti più idonei ad assicurare la necessaria indipendenza del Pubblico ministero». Era un messaggio politico, un ammiccamento visibilmente di pugno di Violante, nel momento in cui si stava discutendo di separazione delle carriere e di due Csm. Ma Colombo tira diritto, con le spalle coperte dalla regia di Saverio Borrelli. Viene portato in trionfo al convegno di Micromega, tra abbracci e baci di Ilda Boccassini, da poco entrata a fare parte del pool e che viene descritta come “luminosa in tailleur verde bottiglia” mentre dichiara entusiasta «di quanto detto da Colombo condivido dalla prima all’ultima parola».
L’attacco sferrato dal pool aveva diversi obiettivi. Sicuramente gli uomini del Pds, che reagirono nell’immediato molto compatti e addirittura, alcuni, con dichiarazioni sopra le righe. Saggio e previdente Giovanni Pellegrino, avvocato e membro della Bicamerale: «Si fermeranno solo quando saranno cadute tutte le teste». Pietro Folena, responsabile giustizia del partito, accusa Colombo di sentirsi una star, e Fabio Mussi, capogruppo Pds nella Bicamerale, dice che questi magistrati si sentono unti dal signore, la nuova stirpe degli dei, e hanno progetti autoritari e corporativi. Si sprecano battute e allusioni di tipo psichiatrico nei confronti di Colombo. Ma un altro importante obiettivo è una parte della magistratura, quella guidata dalla presidente dell’Anm Elena Paciotti con cui gli esponenti della Bicamerale hanno da tempo aperto un dialogo. Accordi fruttuosi per i magistrati, tanto che dalla bozza del relatore Marco Boato la separazione delle carriere e i due Csm sono già spariti. Ma agli estremisti del pool ancora non basta. Loro non vogliono riforme dell’ordinamento giudiziario e della Costituzione, di nessun tipo. Prima ancora di quella domenica del convegno di Micromega c’era stato il congresso dell’Anm, e Borrelli era stato piuttosto chiaro nello scagliarsi contro la presidente. E non era bastata a rassicurare neppure la presenza al congresso dello stesso D’Alema e del segretario di Alleanza nazionale Gianfranco Fini che avevano garantito un mezzo no alla separazione delle carriere. E quando Colombo aveva irriso «temono che abbiamo ancora qualche scheletrino nei cassetti», gli aveva risposto da lontano il senatore Pellegrino: «Forse teme che una parte della magistratura perda la voglia di guardare nei cassetti».
Può parere incredibile, ma in quei primi giorni la stampa non fu schierata con il pool. Neanche quando il 23 febbraio il ministro della giustizia Giovanni Maria Flick avvierà l’azione disciplinare nei confronti di Gherardo Colombo, salvando Borrelli che pure ci era andato giù pesante. Il direttore di Repubblica Ezio Mauro scrisse parole, che forse riflettevano il suo pensiero, ma di cui penso avrà passato poi la vita a pentirsi. Basterebbe il titolo: “Perché sbaglia il pool di Milano”. Poi esprime il suo sdegno per gli attacchi alla politica. «La nostre camere nel 1998 non devono essere in libertà vigilata», conclude. Luciano Violante sceglie il quotidiano di partito, l’Unità, per rivolgersi agli “onesti”, cioè il bacino d’ascolto del pool, per una lezione sulla divisione dei poteri. La storia potrebbe finire qui, raccontando che a un certo punto fu Silvio Berlusconi, scocciato perché l’asse D’Alema-Fini aveva annacquato le riforme fino ad annullarle, a rovesciare il tavolo e uccidere la Bicamerale e il sogno italiano della riforma della giustizia. Invece no, non è andata così. Entrerà in gioco di nuovo il sistema informativo. Nelle vesti di un’emittente, Italiaradio, vicina al Pds, quando un incauto conduttore aveva aperto i microfoni.
Trecento telefonate in mezz’ora, e poi un migliaio anche quando la trasmissione era finita. Tutti a favore di Colombo e contro il partito. “Qualcuno” aveva nel frattempo mobilitato il “popolo dei fax”, gli antenati dei social, che avevano fatto contorno alla carriera di Di Pietro. Scoppiò l’inferno. D’Alema non sa più come fare, se la prende con Colombo definendolo “un estremista”, e nella sua cultura è peggio che se gli avesse dato del delinquente. Rossana Rossanda sul Manifesto, che stava già pencolando pericolosamente dalla parte del pool, lo accusa di aver allevato cuccioli di jena e di non aver previsto che sarebbero diventati bestie feroci. Intanto Borrelli parte all’assalto con gli strumenti che maneggia meglio e con i giornalisti amici. Venti pubblici ministeri si pronunciano a suo favore. Non importa se sono solo venti su cinquanta, i giornali scriveranno che “la Procura” si è schierata. Poi partoni sessanta giudici, tra cui suo figlio. Sessanta su un totale di 193, ma non fanno notizia i restanti, perché silenziosi, come silenziosi resteranno i magistrati di tutta Italia. La partita è milanese e a Milano ci sono i giornalisti amici che completano l’opera.
Il Pds è in subbuglio, i sondaggi dicono che il 75% dei cittadini è con il pool e l’86% è contrario all’azione disciplinare contro Colombo. Il quale diventerà rapidamente la vittima, mentre salirà sul banco degli imputati il ministro Flick. Ciliegina sulla torta, piccolo capolavoro del circo mediatico-giudiziario: a Milano il tam tam giornalistico fa filtrare la notizia di una possibile riapertura di indagini sulle cooperative rosse. Quel che successe dopo, l’estinzione della Bicamerale dopo 15 mesi di vita travagliata, poi la caduta del governo Prodi (la grande vendetta di D’Alema) e l’inevitabile assoluzione di Colombo dalla sezione disciplinare del Csm, sono storia conosciuta. Non c’era Palamara e non c’erano i trojan, nel 1998. Voi dove l’avreste messo? Io nel telefono di Borrelli. E la storia sarebbe stata diversa.
(Ultima puntata – Fine)
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