Dopo Italia, Spagna e Inghilterra, la Bundesliga prenderà il via questa sera con Borussia Monchengladbach contro i campioni in carica del Bayer Leverkusen. Nel dibattito su come il calcio italiano debba evolvere, la Germania viene menzionata meno di Inghilterra e Spagna, ma forse ha molto più da insegnare. Basterebbe un dato: nel 2023 i fatturati aggregati delle società di Bundesliga hanno portato a 40 milioni di utili, quelli della Serie A a 400 milioni di perdita.

Il calcio tedesco sul piano aziendale-organizzativo è un sistema bicefalo che punta a stabilità di lungo periodo. Da una parte sono forti i rapporti tra grandi aziende e club, dall’altra la regola cosiddetta del 50+1 ha formalmente mantenuto in mano ai tifosi la maggioranza azionaria delle società, togliendole dal mercato dei capitali internazionali e dando a tutti un senso di autenticità e partecipazione che attualmente non si trova in altri posti al mondo. Mentre l’Italia inaugura il campionato con più proprietà straniere (10 su 20) della sua storia, in Germania tutti i club della massima divisione sono a capitale tedesco.

I legami club-azienda

I legami club-azienda sono fortissimi come nei casi di Bayer Leverkusen (legato al colosso farmaceutico) e Wolfsburg (Volkswagen). A Mainz c’è la Opel, a Stoccarda Porsche e Mercedes con il 10,4% ciascuno delle quote, a Lipsia la Redbull, nel Borussia Dortmund troviamo tra i soci di minoranza Puma (sponsor tecnico), Signal Iduna (che detiene i naming rights dello stadio) e altre tra cui Evonik (a lungo sponsor di maglia). Hoffenheim è diventata una potenza grazie al colosso informatico SAP. Significativo è il funzionamento del Bayern Monaco, che lo scorso anno ha presentato il 31esimo utile consecutivo: il 75% è in mano ai tifosi, ma poi nella governance duale (il Cda si divide in consiglio di gestione e di sorveglianza) i supporters hanno un solo seggio, contro i tre delle grandi aziende che hanno l’8,33% a testa: Audi, Allianz e Adidas.

Diritti tv, distribuzione virtuosa

C’è poi un altro meccanismo virtuoso: la distribuzione dei diritti tv. Gli 1,1 miliardi a stagione dal mercato interno vengono infatti distribuiti non solo tra i 18 club della Bundesliga ma anche con i 18 del secondo livello (la 2.Bundesliga). I primi prendono meno, gli ultimi un po’ di più. Questo permette un equilibrio che mitiga il rischio fallimento per chi retrocede. Da noi (e del resto anche in Inghilterra con gli stessi effetti nefasti) il sistema prevede un paracadute per chi retrocede, ma questo crea un eccessivo scalone nei ricavi: i rischi di default finanziario sono altissimi nel giro di 2-3 anni dopo la retrocessione per chi non risale. Serie A e Figc parlano da anni di ridurre le 20 squadre in Serie A, ma il dibattito sarà una pura perdita di tempo fino a che nessuno vorrà affrontare l’unico tema rilevante: ok, diminuiamo i club nella massima serie, ma come distribuiamo i soldi dei diritti tv? E se l’economia tedesca sostiene 18 squadre nel primo e altre 18 nel secondo livello, pensare a un 16 più 16 in Italia ha una sua logica evidente di sostenibilità.

Il vantaggio dell’isolamento del Bayern Monaco

Dopo di che, va ammesso, la geografia economico politica della Germania ha influito pesantemente nell’ultimo decennio. Lo scorso anno trionfò il Bayer Leverkusen, con una stagione irripetibile: primo club tedesco a non perdere nemmeno una delle 34 partite totali. Quel trionfo mise fine ad undici titoli consecutivi del Bayern Monaco, che il 30 giugno 2023 presentò anche il 31esimo bilancio in utile consecutivo, un club gestito ottimamente ma con alcuni vantaggi evidenti: è isolato a sud, in Baviera, seconda regione più ricca dopo la Renania settentrionale, ha il club più vicino a 160 km, ed ha sede in una città, Monaco, con un Pil doppio rispetto a Berlino, Dortmund o Lipsia. Il club riceve 123 milioni di euro all’anno da Audi, Allianz e Adidas, soci al 24%, e i ricavi commerciali ammontano a 419 milioni di euro, il 56% delle sue entrate totali, la percentuale più alta tra i top club europei: il 61% in più del Borussia Dortmund (secondo club più ricco di Germania) dalle entrate da stadio.

L’alternanza in Europa

Ma non inganni il ciclo Bayern, la competizione interna (che poi è il sale del successo di un torneo) è la più alta d’Europa. Negli ultimi 5 anni (quelli che fanno testo per il ranking Uefa per club) la Germania è la squadra con la più alta variazione di squadre qualificate alle Coppe, ovvero alle prime 7/8 posizioni in classifica: 13 club, di cui ben 8 in Champions. È un dato che ci dice quanto le posizioni di vertice (che danno anche ricchezza grazie ai premi di partecipazione alle competizioni Uefa) siano contendibili al di là di chi arriva primo, e quindi come è strutturata la competizione interna. L’Italia ad esempio ha mandato in Europa solo 9 club diversi (di cui 7 in Champions): vuol dire che da noi i club medio piccoli hanno meno speranze di lottare per l’Europa. L’Inghilterra e la Spagna stanno nel mezzo, 11 club in Europa, ma la Premier ha visto variare quelli arrivati nelle prime quattro posizioni (8) mentre la Spagna solo 6, per lo strapotere (favorito in passato anche da aiuti di stato sanzionati dall’Ue) di Real Madrid e Barcellona. Dovessimo scegliere qualcuno da cui prendere spunto, per il futuro del calcio italiano, la Germania sarebbe il primo paese a cui guardare.