L'intervista
Il mondo a Roma per Papa Francesco, Acquaviva: “Questa scena non si tradurrà in sostanza. Meloni? Una donna fortunata. E con i 5 giorni di lutto ha cavalcato l’onda”

Gennaro Acquaviva era il braccio destro dell’allora premer Bettino Craxi, quando, nel febbraio 1984, a Villa Madama venne firmato il Concordato tra Italia e Santa Sede. Le due parti trovarono un accordo sulla base di un testo ragionato per un anno tra gli uffici del Vaticano e la Presidenza del Consiglio. Acquaviva fu negoziatore, artefice ed estensore di larga parte di quel testo, anche se oggi si schernisce: «Non l’ho scritto io, l’ha scritto il Padreterno. Io ho dato una mano, ho consigliato e ho messo insieme le forze. Sono stato un umile strumento del Padreterno, se vuole».
Il mondo si incontra a Roma: le esequie di Papa Francesco diventano quasi un summit internazionale. L’ultimo dono di Francesco è quello di portare insieme i grandi della Terra, per quest’ultimo abbraccio corale.
«Da romano sono felicissimo per Roma che torna protagonista, anche diplomatica, di pace. Non sono convinto che questa grande scenografia si tradurrà in sostanza profonda. Sarebbe un miracolo. Ma su quella pietra su cui Pietro ha costruito la sua chiesa di miracoli ne potremmo anche vedere. Però sottolineo: il primato pietrino non è il primato della Chiesa cattolica sull’universo, indica che qui il disegno di Dio ha voluto che nascesse qui, unendo forza spirituale e temporale in questo luogo così unico e universale».
Il messaggio conta, e la suggestione che lascia questo abbraccio corale non potrà che essere di speranza e riconciliazione, in un momento di grandi tensioni, torsioni e turbolenze internazionali…
«Sì, non bastano alcune decine di grandi leader mondiali a fare grande il momento. Il messaggio dell’universalità del mondo è una delle prerogative della Chiesa cattolica, non rimane che confidare che quello spirito aleggi sui partecipanti e possa influenzarne le decisioni».
Chiesa cattolica significa universale, di tutti.
«Appunto: e non di questo o quello. Compreso il Papa che ci ha appena lasciati. Se nel luogo in cui viene sepolto il Papa, nel nome della sua figura, i leader mondiali dovessero ritrovare una dimensione apostolica, spirituale e non legata al presente, sarà un grande dono, un grande viatico per la liberazione degli uomini».
Certamente i capi di Stato e di governo vengono a omaggiare la memoria di Papa Francesco ma anche, si parva licet, quella della vera padrona di casa della cerimonia, Giorgia Meloni.
«Un altro colpo di fortuna per Meloni, che è una donna fortunata. (Ride). Ringraziamo Dio, perché la sua fortuna è una fortuna per l’Italia. È certamente lei la padrona di casa. Se la centralità del mondo si ritrova a Roma, va bene per tutti».
Meloni che accoglie i capi di Stato a Roma diventa, nel momento delle grandi incertezze e dell’assenza di punti di riferimento, una Papessa di fatto.
«Fa benissimo Meloni a fare il punto di riferimento per questo grande appuntamento di risonanza mondiale. Lei fa bene il suo, ma va equilibrata. E per farlo c’è il Presidente della Repubblica: ma Sergio Mattarella non è un Papone».
Lei fu protagonista di un momento storico, per le relazioni con la Santa Sede. Il Concordato che è rimasto è opera anche sua.
«Fu portata a termine una intesa che andava perfezionata da lunga data. E che riuscì a sanare una serie di pendenze, tra cui molte che derivavano dall’entrata dei Piemontesi a Roma nel 1870. Fu merito anche dell’intesa umana tra Bettino Craxi e Karol Wojtyła, Giovanni Paolo II. Questo nuovo patto si basa su due righe volute in particolare dal Cardinal Balestrero, capo della Cei e arcivescovo di Torino: la Chiesa cattolica e lo Stato italiano sono insieme al servizio della nazione italiana. Sono i due soggetti che insieme devono collaborare per il bene dell’Italia. Principi che rimangono e rimarranno validi per sempre».
L’Italia di oggi è più laica, più disincantata…
«È meno religiosa. Meno vicina alla Chiesa. E certamente meno frequentatrice dei sacramenti, meno partecipe alla messa. In questi trent’anni c’è stato un allontanamento progressivo».
Anche con il papato di Bergoglio. Piazze piene, urne vuote, si diceva un tempo con riferimento alla politica. Per il Papa tanta popolarità e però messe deserte…
«Papa Francesco non ha cambiato il numero dei fedeli. Ha cambiato l’atteggiamento verso la Chiesa, ha reso più facile parlarne. Ha rimesso nella coscienza degli italiani la lotta contro l’egoismo. Non sembri poco. Per l’efficacia dei Papi vale quello che si dice per le cure termali: i benefici non si vedono nei giorni ma negli anni».
Indubbiamente Bergoglio risentiva della sua biografia argentina, del peronismo e del populismo che lo aveva permeato.
«Ognuno nasce come nasce e dove nasce. È cresciuto e vissuto con quello spirito. Ma contesto una cosa: lui era un cristiano, un altruista. E chi è altruista non è populista, perché il populismo è egoismo. Lui era un antipopulista verso i populismi europei e nordamericani, semmai era populista sudamericano, che in quelle latitudini ha un’altra accezione».
Certo cinque giorni di lutto nazionale non si erano mai dati. Non saranno un po’ troppi?
«Evidentemente bisognava cavalcare l’onda. E siamo nel momento in cui le onde si cavalcano. Io non li avrei dati, non deve passare l’idea che si calcoli il valore delle persone in termini di giornate di lutto. Ma può servire, diciamo, per i tardi e i sordi».
Il conclave che si apre è complesso.
«Manca un punto di riferimento. Tutte le assemblee di persone – inclusi i Cardinali, che saranno Uomini di Dio, ma sono uomini! – se non hanno un punto di equilibrio, un obiettivo, un centro… è difficile che si mettano d’accordo. Questi Cardinali non si conoscono tra loro, molti sono di nomina recente».
Potrebbe andare per le lunghe, tante fumate nere?
«Il Padreterno ci darà una mano: c’è un disegno divino anche dietro alla successione di Francesco, e lo vedremo presto».
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