Il mondo accusa Israele, ma i veri problemi sono Onu, Unrwa e Unifil: perché i nostri soldati sono a rischio

FILE - UN peacekeepers hold their flag, as they observe Israeli excavators attempt to destroy tunnels built by Hezbollah, near the southern Lebanese-Israeli border village of Mays al-Jabal, Lebanon on Dec. 13, 2019. Four United Nations military observers were wounded Saturday while patrolling along the southern Lebanese border after a shell exploded near them, the U.N. peacekeeping mission in southern Lebanon said. The military observers of the United Nations Truce Supervision Organization support the U.N. peacekeeping mission in southern Lebanon, UNIFIL. (AP Photo/Hussein Malla, File)

L’Unifil, la Forza di Interposizione in Libano delle Nazioni Unite, nasce nel peccato dell’ambiguità. L’inadeguatezza della presenza e l’inefficienza dell’azione dell’Onu in quella zona trovano esattamente causa in quel difetto originario, scolpito nella risoluzione n. 425 del 1978 secondo cui Unifil avrebbe dovuto, tra l’altro, “assistere il governo del Libano nel garantire il ritorno della propria autorità effettiva nell’area”. Israele, infatti, più volte nei decenni si determinava a compiere azioni belliche oltre il confine: ma non sono mai state quelle incursioni a destituire la “autorità effettiva” libanese.

Il fallimento dell’Unifil in Libano

Quando l’Onu riconosceva, ormai decenni fa, che Israele aveva compiuto l’opera di ritiro da quelle zone, il governo del Libano continuava a non esercitare nessuna autorità nell’area, una fascia di terra prima rimessa alle indisturbate attività dell’Olp e poi abbandonata al latifondismo terrorista delle milizie filo-iraniane. Da lì in poi, le risoluzioni dell’Onu – occhiute sul dovere di ritiro di Israele, orbe sugli inadempimenti libanesi e della stessa Unifil – avrebbero continuato a mettere sotto al tappeto la realtà di una situazione sistematicamente irrisolta, vale a dire la realtà di un Paese, il Libano, ora ostaggio e ora complice di forze militari e banditesche che vi esercitano un dominio pressoché incontrastato.

Le ragioni dell’impotenza dell’Onu

La famosa risoluzione Onu del 2006, la 1701, ultimamente evocata in un vuoto richiamo agostano del Consiglio di Sicurezza, è l’esame del sangue che rivela tutti i parametri sbagliati in base ai quali si è preteso di impostare la cura di quell’area martoriata. Risale infatti a diciott’anni fa, a quella risoluzione con cui l’Onu reiterava le ragioni della propria impotenza ed esibiva le prove del proprio fallimento, l’auspicio che non ci fossero “forze straniere in Libano senza in consenso del suo governo”, il tutto sul presupposto che il governo del Libano si impegnasse a “estendere” il proprio controllo “su tutto il territorio libanese” e che Unifil assicurasse che l’area non fosse “utilizzata per attività ostili di qualsiasi tipo”.

Unifil guarnigione protettiva di Hezbollah

Se, due decenni dopo (siamo appunto allo scorso agosto), l’Onu doveva lamentare il mancato rispetto della risoluzione del 2006 mentre rinnovava per un altro anno il mandato all’Unifil, cioè alla forza di interposizione che ha interposto la propria inutilità alle inerzie libanesi e all’efficienza militare filo-iraniana, ebbene è più che legittimo concludere che la missione non solo è ampiamente fallita, ma si è addirittura prestata a fare da guarnigione protettiva dell’insediamento di Hezbollah. Se i nostri militari, laggiù, sono a rischio, è perché agiscono in quel quadro ribaltato di funzioni, essendo esposti al risultato di una missione nata storta e via via pervertita nel programma laissez-faire che ha garantito agibilità assoluta al più potente esercito terrorista del mondo.

L’Unrwa secondo i palestinesi

Anche nel campo della cosiddetta cooperazione umanitaria l’Onu è responsabile di analoghe inefficienze, quando non di connivenze e complicità con le forze che da decenni rivendicano di combattere per l’autodeterminazione palestinese e in realtà perseguono tutt’altro obiettivo, cioè mantenere il proprio potere autocratico “ripagando” il popolo che opprimono con il sogno della distruzione di Israele. L’Unrwa, l’agenzia Onu per il sussidio dei rifugiati palestinesi in Medio Oriente, è la più poderosa di queste organizzazioni. Officiata a svolgere un compito di ispirazione puramente umanitaria, è capeggiata da funzionari che apertamente rivendicano di dover svolgere il ruolo di “testimoni dell’ingiustizia”, la quale risiederebbe ovviamente nella stessa fondazione dello Stato di Israele. Una “ingiustizia”, questa, cui i plenipotenziari dell’Unrwa non hanno più tentennamenti ad opporre il “diritto al ritorno” dei palestinesi, che è una versione incravattata del repulisti degli israeliani dal fiume al mare. Il capo, Philippe Lazzarini, è quello che giusto qualche giorno fa doveva ammettere che la propria organizzazione è in effetti percepita in quel modo dai palestinesi, cioè come l’ufficio internazionale che si oppone all’ingiustizia israeliana e la cui presenza preconizza quella possibilità di “ritorno” dei palestinesi – attenzione – non a Gaza o in Cisgiordania, ma nella terra loro “rubata” nel 1948.

In questi giorni, mentre la levatrice – l’Onu – reclama l’insostituibilità dell’Unrwa, si fa sempre più esplicito il vero motivo di quella pretesa di monopolio, che non riguarda affatto l’esclusiva e in realtà inesistente capacità di provvedere servizi umanitari (la maggior parte degli aiuti entrati a Gaza era distribuita senza il contributo delle organizzazioni internazionali), bensì l’idea che le Nazioni Unite siano il complemento disarmato di una generale resistenza anti-israeliana. Si spiega in questo modo l’inesausta attività di copertura offerta al terrorismo che usava gli edifici dell’Unrwa per gli scopi militari vietati dal diritto internazionale invocato a patto che sia Israele a violarlo. Si spiega in questo modo il reclutamento e il mantenimento al proprio posto di personale diviso tra i nobili cimenti umanitari e l’organizzazione dei massacri del 7 ottobre. Si spiega in questo modo l’indifferenza davanti alla risalente, ininterrotta e conclamata riduzione delle scuole di Gaza ad altrettante palestre di indottrinamento al martirio.

Si spiega perché – in una specie di buona fede assassina – quelle attività di sostanziale collaborazionismo con le dirigenze terroristiche palestinesi sono scriminate in una situazione di sopruso che ha un responsabile diverso, lo Stato Ebraico. In quest’ottica, il dipendente Unrwa che è simultaneamente un dirigente di Hamas rappresenta un caso di non perfetta professionalità e niente più, qualcosa che a tutto concedere merita il licenziamento, ma non investe la responsabilità dell’organizzazione perché la “mission” resta intatta e l’entità giustiziera chiamata a compierla è appunto insostituibile. Per questo un dipendente Unrwa può essere ripreso mentre carica nel bagagliaio il cadavere di un ragazzo ucciso e non succede nulla.