“Sono certo che l’Assemblea plenaria avrà modo di esaminare i contenuti della proposta confrontandosi con i principi dettati in materia dalle norme di delega di cui alla legge 71 del 17 giugno 2022”. A scriverlo, in una nota indirizzata la scorsa settimana al vicepresidente del Csm, è stato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ha in questo modo deciso di “prendere posizione” sul parere delle valutazioni di professionalità dei magistrati che dovrà essere votato oggi dal Plenum. La materia, quella delle valutazioni di professionalità, è quanto mai incandescente. Attualmente, il 99,7 percento delle toghe ha una valutazione positiva.

Un dato che, come ricordato a suo tempo dall’allora presidente della Cassazione Giovanni Canzio, non “ha eguali in nessuna altra amministrazione pubblica”. Se quasi tutti i magistrati sono “bravi” ed “efficienti” c’è qualcosa che “stride”, aggiunse Canzio, invitando il Csm a non essere di manica larga in maniera generalizzata. Invito che, per la cronaca, cadde nel vuoto. Ed in effetti, leggendo i pareri di professionalità dei pm e dei giudici, viene fuori una categoria di livello elevatissimo. Circostanza, però, che fa a pugni con la realtà. Teoricamente, come recita la circolare, le valutazioni di professionalità dovrebbero permettere “di conoscere l’attività che in concreto ciascun magistrato svolge nella realtà lavorativa in cui è inserito, e di valutarla alla luce sia delle “condizioni imprescindibili per un corretto esercizio delle funzioni giurisdizionali” (indipendenza, imparzialità ed equilibrio) sia dei parametri che la qualificano (la capacità, la laboriosità, l’impegno e la diligenza)”.

In altri termini, “le valutazioni di professionalità costituiscono la base su cui poggia la legittimazione dei giudici e dei pubblici ministeri; nel contempo, tendono a migliorare la resa del “servizio giustizia” ed a rafforzare la fiducia dei consociati nel sistema giudiziario”. Per la delicata funzione svolta, dunque, è necessario che il controllo della professionalità sia “serio” ed “effettivo”. Il problema è che questo controllo “serio” ed “effettivo” evidentemente non viene praticato. Le valutazione di professionalità in prima battuta competono ai Consigli giudiziari, “espressioni decentrate della funzione di governo autonomo che, proprio per essere organi di prossimità, hanno un ruolo fondamentale nel perseguimento dell’obiettivo di una valutazione reale e completa sui singoli magistrati”. I Consigli giudiziari, per prassi consolidata, tendono a “largheggiare”, scrivendo pareri eccelsi che potranno tornare utili quando la toga dovrà concorrere per un incarico direttivo. “Todos caballeros”, per usare una espressione attribuita a Carlo V di Spagna.

La riforma Cartabia aveva in mente di cambiare in modo significativo questo procedimento valutativo appiattito verso l’alto. Ed invece, sotto la spinta “togata”, ha lasciato di fatto tutto immutato, continuando ad affidare in via esclusiva ai magistrati, pm e giudici, la valutazione dei colleghi, senza che gli avvocati possano incidere in alcun modo. Per difendere lo status quo, le toghe avevano affermato che gli avvocati sono parte del processo e avrebbero quindi un ‘interesse’ specifico. Dimenticando che anche il pm, parte del processo, era da sempre pienamente legittimato ad esprimere giudizi nei confronti del giudice. Le “pagelle” per le toghe, poi, sono rimaste nel cassetto. Come se non ci fossero. Il tanto decantato fascicolo del magistrato, voluto dalla ministra Marta Cartabia con l’indicazione delle performance raggiunte, non è stato infatti minimamente considerato nel parere che dovrà essere votato oggi da un Csm in “prorogatio”.

Sul rinnovo del Csm è intervenuto ieri il deputato Riccardo Magi di +Europa. Con una lettera indirizza ai presidenti delle Camere, il parlamentare romano ha chiesto di sapere come intendono procedere per l’elezione dei componenti laici. La loro elezioni, infatti, pare essere in alto mare. Servono “procedure trasparenti per le candidature nel rispetto della parità di genere”, ha ricordato Magi. Ad oggi, sia Ignazio La Russa che Lorenzo Fontana non hanno dato alcuna disposizione sulla modalità di presentazione delle candidature, su chi dovrà valutare i curricula, sulle procedure di voto.