L’infinita odissea dell’ebraismo è la più grande ferita – sempre sanguinante, mai sanata – nel percorso della nostra civilizzazione. È una storia millenaria segnata da diaspore, insopprimibili conflitti religiosi, orribili persecuzioni plurisecolari culminate nella tragedia dell’Olocausto.

Chi parla oggi di Israele senza riconoscere e fare propria questa realtà storica non solo dimostra una inammissibile ignoranza, ma si fa portavoce – più o meno cosciente – di un colossale sfregio alla memoria dell’intera umanità. Si tratta di un abisso di inconsapevolezza – purtroppo diffusa e crescente – che va costantemente combattuta, non solo contrastando l’antisemitismo in tutte le sue manifestazioni, ma – quasi con maggiore forza – lottando contro pulsioni e sentimenti più insinuanti e pericolosi: dall’antisionismo, rifugio ipocrita degli antisemiti “per bene”, fino ai mille ripugnanti cliché antiebraici, fatti di beceri luoghi comuni cui in tanti non riescono a sfuggire. Tutti noi abbiamo quindi, nei confronti di Israele, una responsabilità alla quale non possiamo sottrarci.

Almeno fino a quando anche l’ultimo degli esseri umani non riconoscerà il suo assoluto, pieno, intangibile diritto all’esistenza. Solo a quel punto – forse – potremo ritenere estinto il nostro debito con l’ebraismo. Di questo ci parla l’anniversario del 7 ottobre che celebriamo con questo inserto dedicato.

Che non è pensato per dire delle strategie di Netanyahu, dei focolai di guerra, del terrorismo fanatico. Ma per riflettere su una macchia indelebile che pesa su ognuno di noi, riappare – in forme nuove ma ugualmente odiose – a ogni tornante della storia, e va cancellata per sempre, con una battaglia politica e culturale senza quartiere.