Alessandro Tommasi è un manager e imprenditore che, dopo aver lavorato al Parlamento Europeo, alle Nazioni Unite e per Confindustria, ha fondato Will Media, venduta a Chora Media. Dal 2023 è fondatore di Nos, movimento liberaldemocratico che punta al rinnovamento della politica. Ha promosso l’incontro di oggi al Talent Garden: dieci speaker in modalità Ted talk, show e giochi con il pubblico. L’obiettivo? Porre la prima pietra del futuro soggetto unitario dell’area centrista.
Oggi cosa succede a Milano?
«Ci vediamo per fare una riflessione sul titolo che ci siamo dati: cambiare o mangiarsi ancora la stessa minestra? Se vogliamo cambiare serve mettersi attivamente in gioco, avere coraggio. Ma anche mettere da parte l’ego e darsi degli obiettivi chiari».
Il promotore della giornata è Nos. Ma Nos punta a superare sé stessa?
«Siamo la piattaforma che ha organizzato questo momento di riflessione, ci siamo fatti carico dell’evento ma sapendo che, come sigle, dobbiamo poi fare tutti un passo indietro. Vogliamo ascoltare tante voci, in modo non politicistico ma aperto: tante anime che si somigliano e che devono trovare una sintesi tutte insieme».
«Vorrei dire che dobbiamo guardare avanti. Mi sembra conclamato che Azione e Italia Viva non sono state capaci di fare lo scatto sperato. Adesso ci mettiamo in gioco noi, in prima persona. Quello che è necessario è superare le strutture di partiti che sembrano start up dove il founder non riesce a managerializzare. Dove si mantiene una gestione proprietaria, perfino padronale. Quella è un po’ la sindrome di tutti i partiti».
Perché voi dovreste essere diversi?
«Noi vogliamo partire dagli obiettivi, dietro ai quali si mettono tutti a disposizione. Se ci si limita a referendum sulle leadership, si fa fatica a progredire. Abbiamo creato Nos per indicare un percorso sul quale chiamiamo altri soggetti che si somigliano molto tra loro. Non vogliamo essere i federatori, vogliamo scioglierci dentro a un soggetto unico, comprensivo delle diverse sensibilità e percorsi».
L’Italia ha inventato il fascismo. Poi ha avuto il più grande partito comunista dell’Occidente e parallelamente, 70 anni di Democrazia Cristiana. Perché puntare su un soggetto liberaldemocratico in un Paese che ha avuto questo background?
«Proprio perché crediamo sia venuto il tempo di voltare pagina e di scegliere un’altra storia. Uno spazio enorme rimane senza presidio, tra il Pd e Forza Italia c’è una voragine intermedia e il 7-8%, che è il risultato già consolidato di quest’area, va valorizzato. Può diventare il doppio. Non è un sogno ma un progetto serio. Ed è il momento di essere ambiziosi».
Chi viene come te dal mondo dell’impresa, può trasmettere un modello diverso alla politica?
«Non credo ai partiti-azienda, che sono state distorsioni. Il modello non è quello di Berlusconi. Dobbiamo valorizzare, imparando dalle startup, il network. E l’attenzione per la misurazione. La politica deve saper unire alle idee i numeri, studiare per conoscere e produrre iniziative. Poi: l’ossessione per l’accountability. Bisogna sapere prima dove si vuole andare, come e con chi».
Dicono che Nos sia il partito dei giovani, c’è un dato anagrafico nel vostro ottimismo?
«Questa cosa che siamo giovani è forse anche un modo per limitare gli spazi. Il nostro impegno prescinde dall’età e infatti guardiamo all’unità tra esperienze diverse, e tra generazioni diverse, come passaggio necessario per crescere».
Insisto. Vedete attenzione per gli esperimenti politici, negli italiani?
«Il nostro è un Paese che ha paura dell’innovazione e del cambiamento. In politica e fuori dalla politica bisogna incoraggiare, invece. E dire: “Provaci”. Se hai ambizione e talento, non può mancare il coraggio».
E invece, tutto un waiting for Godot…
«Infatti, noi diciamo “partecipa”, non aspettare che siano altri a fare le cose per te».
Qual è il motivo per cui aderire al soggetto libdem che volete contribuire a fondare?
«Potrei indicarne tanti, tutti alti e nobili. Invece ne indico uno semplice, così ci capiamo: per non fare di nuovo la brutta figura delle Europee. Perché abbiamo assistito a un suicidio politico vero e gli elettori meritano più rispetto».
E l’Europa?
«È al centro del nostro agire. E per rappresentarlo chi viene oggi al Talent Garden di via Calabiana a Milano troverà al centro della sala un piccolo altare sul quale abbiamo messo, senza voler essere blasfemi, il testo del report che Mario Draghi ha consegnato a Ursula von der Leyen. Per noi un testo sacro. È da lì che vogliamo partire».