Dopo il clamoroso risultato del ballottaggio del 7 luglio, si insedia oggi per la prima volta a Palazzo Borbone il nuovo parlamento francese. Il primo punto all’ordine del giorno per dare il via alla legislatura è l’elezione del presidente dell’Assemblea nazionale. Un passaggio cruciale, dal quale si capirà l’assetto delle relazioni tra i diversi partiti visto che l’esito delle elezioni politiche non offre una maggioranza evidente. Il leader della camera bassa viene eletto con un sistema di voto a tre turni. È necessaria la maggioranza assoluta per vincere al primo o al secondo turno. Se non c’è un vincitore, al terzo turno viene eletto chi ottiene più voti. La mancanza di una chiara maggioranza in assemblea è alla base della scelta di Emmanuel Macron di accettare le dimissioni del primo ministro Gabriel Attal: in sostanza, se fossero rimasti in carica, i ministri eletti non avrebbero potuto partecipare al voto indebolendo il proprio schieramento. Così facendo, il presidente francese può meglio controllare l’andamento dell’aula.

L’illusione ottica del Nuovo Fronte Popolare

Il blocco di sinistra sembra quello più ampio in Assemblea nazionale e, in via del tutto astratta, potrebbe tentare di scegliere un candidato unitario. Ma negli ultimi giorni il Nuovo Fronte Popolare si sta sempre più rivelando per quello che era fin dall’inizio: un’illusione ottica, un cartello esclusivamente elettorale per impedire la conquista di Hotel Matignon, sede del governo, da parte del Rassemblement National. Nel corso dei negoziati per la formazione di una maggioranza di governo, i quattro partiti fondatori dell’alleanza hanno già proposto almeno sei candidati per il ruolo di primo ministro, ma sono stati tutti bocciati. La France Insoumise (LFI), convinta di avere il più grande gruppo di sinistra in parlamento, ha proposto quattro dei suoi leader, tra cui il candidato alla presidenza per tre volte Jean-Luc Mélenchon, tutti respinti dai socialisti.

La sinistra vince e litiga

I socialisti, convinti di aver goduto dell’aumento maggiore del numero di seggi rispetto agli altri partiti di sinistra, hanno proposto Olivier Faure, il capo del loro partito. Cassata anche la candidatura di Huguette Bello, presidente del territorio francese d’oltremare della Réunion, proposta dal minuscolo partito comunista francese.
Nessuna meraviglia: la coalizione di sinistra aveva riunito sotto un’unica bandiera una serie di posizioni inconciliabili su diverse questioni strategiche e politiche, tra cui le guerre in Ucraina e a Gaza. Per non parlare dell’imbarazzo dei riformisti e dei moderati nei confronti di Jean-Luc Mélenchon, il leader populista che simpatizza per gli autocrati (come il presidente venezuelano Nicolás Maduro), chiede la resa dell’Ucraina (a vantaggio di Vladimir Putin) e fa il tifo per i terroristi islamisti di Hamas (auspicando di fatto la sparizione di Israele).

Macron gongola

Ovviamente, i partiti centristi gongolano: la rottura dei colloqui tra le forze di sinistra allontana sempre più il Partito Socialista dai suoi alleati più radicali, aprendo la prospettiva di una coalizione che vada dai socialdemocratici ai conservatori. Lentamente, così, prende forma il disegno di Emmanuel Macron che, subito dopo i ballottaggi, aveva invitato i partiti politici a “essere all’altezza della situazione e a lavorare insieme” per costruire una coalizione di governo. Astutamente, il presidente ha chiarito che nessuno ha vinto le elezioni: “Nessuna forza politica ha una maggioranza sufficiente e i blocchi emersi sono tutti minoritari”, ha affermato Macron mercoledì. Il suo invito è rivolto a tutti i partiti “che si identificano con le istituzioni repubblicane, lo stato di diritto, il parlamentarismo, una posizione filoeuropea e l’indipendenza francese” affinché si impegnino “ad avere un dialogo sincero e leale per costruire una maggioranza solida, necessariamente plurale, per il paese”.

Governo senza estremismi

Tradotto: esclusi gli opposti estremismi di Le Pen e Mélenchon c’è spazio per una maggioranza ‘repubblicana’ capace di traghettare il paese verso le prossime elezioni presidenziali. Certo, potrebbe servire più tempo del solito. E allora? Ciò non vuol dire che la Francia sia nel caos. Semplicemente è mancato l’effetto trascinamento tipico delle elezioni presidenziali: un fenomeno che si ripresenterà al prossimo giro. Poco importa se alle Olimpiadi si arriverà con un governo limitato agli affari correnti. Ciò che importa all’Eliseo è mettere in piedi un governo europeista capace, tra l’altro, di rispondere alla procedura per deficit eccessivo che la Commissione ha avviato nei confronti della Francia.
Il prossimo governo sarà chiamato ad attuare tagli della generosa spesa pubblica francese per almeno 20 miliardi. Un compito impossibile per i populisti di destra e di sinistra.

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